Il trio delle meraviglie di Oklahoma sta pagando la giovane età proprio sul più bello…

0-30.

Non è un parziale monstre impartito in avvio di gara dagli Heat, in pieno stile Gare 1 e 2 di queste Finali. No, i numeri di cui sopra si riferiscono alle vittorie e alle sconfitte di squadre trovatesi in svantaggio per 1-3 nella Storia delle Finali NBA.

In trenta occasioni in cui ciò è avvenuto, nessuno è stato mai in grado di centrare tre vittorie in altrettante gare.

Per questo motivo Gara 4 era di fondamentale importanza. Non dico che fosse la partita spartiacque, perchè di fatto ritengo che la vera grande sconfitta, in questo filotto di tre “lose” consecutivi, peraltro tutti evitabili, sia stata quella di Gara 2. E’ stato lì, con il furto del fattore campo e la vittoria in terra nemica, che Miami si è di fatto impadronita dell’inerzia della serie.

La partita di due notti fa, però, poteva sancire ufficiosamente il dentro/fuori di OKC da queste Finals. Per gli amanti degli ex Sonics, in effetti la gara qualcosa l’ha sancito, ma a favore di LBJ e compagni.

L’inizio è stato promettente, in men che non si dica si è subito capito che Westbrook avrebbe giocato a mille all’ora, con una furia dettata sia dalla sconsideratezza che lo caratterizza, sia, però, da una concentrazione che in questa serie ancora non aveva mostrato. Troppo più veloce di Chalmers, Nole e Wade, ha messo in chiaro sin dai primi minuti che il palcoscenico sarebbe stato suo.

E così i Thunder, spinti da 10 punti del play/guardia, hanno corso al massimo, raggiungendo addirittura un vantaggio di 17 lunghezze sul finire della prima frazione, prima che il punteggio venisse inchiodato sul 33-19 grazie ad una tripla avversaria.

Oklahoma ha mostrato i muscoli, ha messo in chiaro di avere decisamente più talento collettivo rispetto agli avversari ma… ormai la Storia, anche recente, dei playoffs NBA ha insegnato che, senza ombra di dubbio, non è col solo talento che si vincono le partite. Gare fatte di agonismo, di lotta, di determinazione e, mi ripeto ancora, di esperienza. E qui casca l’asino.

Il furore di OKC è durato un quarto, in apertura di seconda frazione gli Heat hanno messo a segno un desolante parziale di 16-2 capace di portare la parità a quota 35. Così, in maniera simile agli effetti che la vittoria in Gara 2 sta producendo sulla Serie, il maxi parziale ha sostanzialmente consegnato il pallino della gara in mano a Miami. Oklahoma è sempre stata li, a messo il muso davanti in più di un’occasione, ma almeno al sottoscritto ha dato l’impressione di andare sotto psicologicamente, di subire, come mai in questi Playoffs, i propri avversari.

Cosa non ha funzionato in casa Brooks? Esento, per una volta, Russell Westbrook: la sostanza non è cambiata, tante forzature e tanti tiri fuori dal coro e dal contesto, ma signori, stanotte gli è entrato tutto. E’ stato dominante, troppo più forte del diretto avversario di turno… ha chiuso con 43 punti con 20-32 al tiro conditi da 7 rimbalzi e 5 assists. Certo, poi vai a sapere se Spoelstra, visto l’andazzo, non ha detto ai suoi di lasciarlo segnare chiudendo gli altri… però, di fatto, Wes ha giocato in maniera straordinaria, tenendo OKC incollata alla partita fino all’ultimo.

L’unica macchia è stato il fallo finale, frutto di mancanza di concentrazione e attenzione alla situazione di gioco. L’errore è grave ma non può cancellare quanto fatto nei 47 minuti precedenti.

Quanto a Durant, nonostante lo score finale dica 28 punti con 19 tiri, in Gara 4 l’ho visto un po’ opaco. Non scintillante come in Gara 1, né come in Gara 2, ma affaticato dal lungo trattamento che gli sta riservando LeBron James. Il suo l’ha fatto, il cuore ce l’ha messo, ma purtroppo non è bastato.

La vera mancanza di Oklahoma è stato tutto il resto: mi spiego, oltre a Westbrook e Durant i Thunder, offensivamente, è come se non fossero scesi in campo. James Harden sembra l’ombra di sé stesso, semplicemente fuori contesto e mai entrato in queste finali, a parte la comparsata di Gara 2.

Anche in quest’episodio ha sbagliato 8 delle 10 conclusioni prese, perdendo soprattutto 4 palloni. 8 punti, 10 rimbalzi e 1 stoppate è il fatturato complessivo della coppia Perkins-Ibaka.

Se del primo, ahimé, non ho stima in queste Finals, del secondo sono emersi limiti di età mica da ridere. Il congolese con passaporto iberico, granitico durante tutti i Playoffs e anche nei primi episodi di queste Finali, ha subito parecchio la situazione difficile della propria squadra, mancando del tutto il proprio contributo. Sefolosha, purtroppo, è tanto forte in difesa quanto discontinuo e inaffidabile in attacco. Ogni volta che sbaglia un piazzato o una penetrazione, che dovrebbero essere automatici a quei livelli, rimango sempre stupito di come il suo stare sul parquet dipenda solo, ed esclusivamente, da ciò che fa nella metà campo difensiva.

In sintesi, un’occasione sprecata. Dopo il primo quarto, dopo aver subito la rimonta di 14 punti sino al 35 pari di cui ho detto in precedenza, i Thunder hanno sostanzialmente ceduto, rimanendo aggrappati alla gara solo grazie alla determinazione e alla voglia di Westbrook, delle quali gli va dato ampio merito.

Così come, però, va dato ampio merito, per la prima volta in questa serie di pezzi dedicati ai “Thunder formato Finals” a LBJ e agli Heat tutti. Questo, a dispetto dei tanti detrattori, è il loro anno. Come i Celtics del 2008 o i Mavs della scorsa edizione, Miami ha il fuoco negli occhi, e ha raggiunto, appunto, quell’esperienza necessaria ad arrivare fino in fondo.

Sono poi guidati dal migliore LeBron James di sempre: se fuori dal campo appare scontato che abbia assunto un nuovo PR tanto è basso e posato il suo profilo, in campo è sempre più totale.

Le cifre (26+9+12 in Gara 4) come sempre dicono poco di quello che è, in assoluto, il giocatore più totale dell’intera Lega. Non cerca più di vincere da solo le gare, ma si fida dei compagni, li cerca, li sprona, copre ogni aspetto del gioco e ogni punto del campo. In difesa, senza dubbio, il suo lavoro migliore: la marcatura su Durant è da libri di scuola.

Detto questo, le Finals non sono ancora finite. Oklahoma dovrà ritrovare l’orgoglio e la determinazione per evitare l’onta di perdere quattro gare di fila e per non dare a Miami la soddisfazione di festeggiare in casa.

L’Anello, ormai, appare quasi scontato che finirà, per la quindicesima volta, al dito di Riley, che tra un po’ dovrà prendere in prestito il quarto braccio.

Spetta a KD e soci fare in modo che ci arrivi il più tardi possibile.

4 thoughts on “Dopo Gara 4: le speranze dei Thunder si scontrano con la Storia delle Finals

  1. Credo ci sia un errore sui 15 anelli di Riley, ne ha vinto uno da giocatore e 5 da allenatore.

  2. Durante la telecronaca di Gara4 mi è sembrato (a questo punto non ne sono piu certo e purtroppo ho cancellato la registrazione) che Federico Buffa avesse parlato di 14 titoli, divisi tra giocatore, assistente allenatore, dirigente e capo allenatore..

    Cercando in Rete si parla di “solo” 7 anelli vinti dal Pat: 1 come giocatore, 1 come assistant coach e 5 come head coach di Lakers e Heat. Rimarrebbe un buco di sette titoli che dovrebbe aver vinto come dirigente ma sinceramente non mi tornano..

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