La grinta di Westbrook, imprendibile per gli Heat in Gara 1

Le Finali NBA.

Ogni appassionato di basket professionistico americano ha ben presente la tensione, l’emozione e il peso specifico della palla a spicchi in quelle magiche partite che sono, appunto, le Finali NBA. C’è un’atmosfera, una sensazione, di assoluta elettricità nel palazzetto di turno, tale da rendere come un bambino in un negozio di caramelle anche la più navigata delle superstar.

A guardare il roster degli Oklahoma City Thunder, solo due dei giocatori schierati da Coach Brooks hanno assaporato in passato questa esperienza: Kendrick Perkins, un titolo nel 2008 con i Celtics, e il Venerabile Maestro Derek Fisher, ben cinque con i Lakers.

Tutti gli altri, ad iniziare dal ventitreenne (!!!) Durant per arrivare ai ventiduenni (!!!) Westbrook e Harden, di quelle emozioni sino a ieri ne avevano solo sentito parlare.

L’inizio di Gara 1 ne è stata la prova: Thunder impacciati, intimoriti da avversari certamente con più esperienza, bloccati in attacco e farraginosi in difesa, con Chris Bosh a godere della maggiore velocità di un Perkins decisamente troppo lento e con i giocatori di Oklahoma City completamente concentrati sul compito di evitare di prendere canestri facili da James e Wade, così concedendo chilometri di spazio e percentuali irreali ai vari Chalmers e Battier, che puntualmente hanno punito i padroni di casa sino a spingerli sul -13.

Ammetto che nei primi 24′ ho avuto la netta sensazione che i Miami Heat potessero vincere questa Gara 1, per il semplice fatto che pur avendo un Wade osceno, un LeBron quiescente (ma, va detto, sempre vigile), il resto della squadra faceva il suo, con una circolazione di palla davvero inusuale per quanto efficace.

I tentativi di rientrare perpetrati da Durant erano puntualmente rintuzzati da ottimi canestri avversari, così che non sembrava, in apparenza, esserci troppo spazio per una rimonta.

L’esperienza , però, mi suggeriva di starmene tranquillo sul divano, soprattutto vista la serie di quelli in maglia bianca contro i texani di San Antonio, “sai mai che Durant si svegli e suoni la carica…..“.

Avevo ragione: la seconda metà di gara è stata tutta un’altra musica.

Non c’è modo di sapere cosa Coach Brooks abbia detto ai suoi durante l’intervallo, fatto sta che i Thunder usciti dagli spogliatoi ad inizio di ripresa erano tutt’altra squadra rispetto ai timorosi ragazzotti dei primi due quarti.

J.A. Adande ha scritto su ESPN: “ricordate il T1000 in Terminator 2? Era una macchina da guerra futuristica composta da metallo liquido che gli permetteva di copiare il look, la voce e l’atteggiamento di una persona semplicemente entrando in contatto con essa. Questo sono gli Oklahoma City Thunder. Tutto quello che devono fare è passare un po’ di tempo sul campo con una squadra e possono incorporarne i tratti migliori”.

Ecco la chiave. I Thunder hanno semplicemente preso le misure.
Si, sicuramente hanno subìto per qualche minuto lo shock di vivere le prime Finali NBA, ma subito dopo hanno iniziato a studiare gli avversari. E se contro gli Spurs serviva giocare un attacco ragionato, cercando l’extrapass e l’uomo libero, contro gli Heat serviva qualcosa di diverso.

Un po’ come se il motto fosse “Battiamoli con il loro stesso gioco“.

E così sia: Coach Brooks ha impostato un quintetto piccolo, con Collison (autore di una partita super) da centro accanto a Durant da quattro e al trio Sefolosha, Westbrook e Fisher nella frontline.

Lo svizzero, mandato sulle tracce del #3 avversario nella prima metà di gara, si è curato dalla ripresa in avanti di LeBron, di fatto facendolo uscire dalla partita. Dopo i trattamenti riservati a Kobe e Parker, Sefolosha ha giocato una super partita contro il tre volte MVP, entrando nel suo cilindro e sporcando ogni passaggio a lui diretto.

Al contempo, nell’altra metà campo i Thunder hanno iniziato ad aggredire sistematicamente il ferro, con un Westbrook a tratti indemoniato e decisamente superiore fisicamente a Mario Chalmers, totalmente inadatto a seguirlo.

Determinante è stata anche la presenza del duo che non ti aspetti, quei Collison e Fisher che si credeva (quanto meno per il primo) sarebbero stati relegati a minuti marginali. Il Venerabile Maestro e l’ala bianca hanno invece fatto molto più del loro lavoro, infondendo l’uno la sicurezza dei canestri che pesano e l’altro l’energia di 10 rimbalzi catturati di pura voglia.

Al cambiamento dei Thunder ha corrisposto quello degli Heat, che sono tornati a mostrare i limiti di sempre: LeBron James è stato caricato di tutte le responsabilità ma è chiaro, anche dopo Gara 6 contro Boston, che non può e non deve essere sempre lui a portare Miami alla vittoria.

Non se Wade decide di attaccare inopinatamente il ferro (19 punti con 19 tiri!) e Bosh si traveste da Casper il fantasma tanto è impalpabile. Contro i Thunder gli Heat non possono permetterselo, perché OKC non solo è più giovane, ma anche più atletica e più profonda.

L’inerzia della gara si è quindi spostata vigorosamente a favore di Oklahoma, che ha surclassato gli avversari 58-40 nella seconda metà, limitando James a soli 6 punti nel quarto periodo (apertosi comunque sul +1 Thunder e quindi a giochi completamente aperti) ed evidenziando quello che è l’aspetto che, ancora oggi, mi stupisce di più di questa squadra: la freddezza nei finali tirati.

Questa caratteristica poteva sembrare un abbaglio contro i Lakers, un sospetto contro gli Spurs ma oggi è solo una certezza: Westbrook e soprattutto KD nell’ultimo quarto si scatenano, con quest’ultimo a fare letteralmente ciò che voleva contro la difesa di Miami (17 punti nel quarto quarto). Una freddezza e una determinazione che difficilmente possono essere superati da attacchi sterili e limitati a forzature e uno contro uno.

Ha vinto Oklahoma City, con una prestazione difficilmente equivocabile. Ha mostrato di poter battere agevolmente Miami con le stesse armi ed anzi di averne decisamente di più. Se poi pensiamo che il Barba è stato tenuto in panchina per gran parte del quarto periodo, solitamente suo territorio di caccia,  ci rendiamo conto di quanto abbiano dato i padroni di casa.

Come detto da Federico Buffa e Flavio Traquillo durante la telecronaca di Sky Sport, Gara 2 ci mostrerà se gli Heat erano semplicemente stanchi (la settima contro Boston si è giocata solo 72 ore prima) o se, in effetti, c’è un vero e proprio gap tra le due squadre.

Dal canto loro, in attesa di doverosi aggiustamenti di Coach Spoelstra, i Thunder dovranno confermare nella partita di giovedì notte l’aggressività fisica e mentale mostrata nei 24′ finali di Gara1. Sull’efficacia di Durant e Westbrook, dopo tutti questi playoffs, non sto neanche a parlare; se Sefolosha, Ibaka e Collison confermeranno quanto di buono fatto nel primo capitolo della serie, si rischia seriamente di spostarsi in Florida sul 2-0.

 

3 thoughts on “Dopo Gara1: c’è il sole in Oklahoma

  1. Ma vogliamo fare un commento alla Gazzetta che si sveglia nelle finali NBA e prende in mano il sito NBA.com/italy ?!?
    Dove sono stati fino ad ora?
    Dove finiremo?
    Solite notizie a pagamento?
    Ci fanno annusare l’odore per poi chiederci 3 euro e 99 centesimi a notizia?

    VIVA PLAYITUSA !!!
    Giornalisti prima che palancai, uomini prima che giornalisti ma soprattutto appassionati di sport !!!

    Detto questo, let’s go Miami!

  2. Mi spiace per i fan degli HEAT (io sono tra quelli, con tanto di canotta degli heat indossata per l’occasione) ma al massimo vinciamo 2 partite..

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