Continuano a sorprende i Sixers, squadra operaia per eccellenza...

Nonostante i lunghi anni di assenza da una panchina, negli USA tutti conoscevano il reale valore di Doug Collins: ex-allenatore di un Jordan non ancora vincente, era ed è universalmente riconosciuto come un esperto nel prendere squadre di bassa classifica e farle rendere al massimo delle loro potenzialità. Se poi si tratta di vincere, forse è meglio suonare ad altro indirizzo, ma per ridare credibilità a piazze perdenti difficilmente si può trovare di meglio.

Devono aver pensato a questo nel 2010 a Philadelphia. Dopo anni di record sotto il 50% di W, saltuarie apparizioni ai PO e contratti regalati a giocatori o presunti tali, l’allora GM Ed Stefanski ed il proprietario Josh Harris hanno deciso di affidare la squadra ad una persona di sicura affidabilità, che sapesse lavorare con i giovani e valorizzarli.

Il primo impatto con la nuova realtà è stato aspro: partenza lenta, per non dire in retromarcia, con sole 3 vittorie a fronte di 13 sconfitte e la piazza che già iniziava a rumoreggiare. Ma se Westphal ha potuto allenare i Kings per due anni e mezzo, non si capiva perché non si potesse dare una seconda possibilità ad un grande conoscitore del basket come Dough.

Così non sono stati fatti cambiamenti e si è lasciato che l’uomo plasmasse a sua immagine e somiglianza la propria creatura: rotazioni accorciate ad 8/9 uomini, difesa blindata e spazio alle nuove leve.

Su queste basi è stata costruita un’annata trionfale, che ha portato all’incredibile settimo posto in classifica e la conseguente qualificazione ai Play-Off, poi conclusasi al primo turno contro i futuri finalisti Miami Heat.

All’inizio di quest’anno, si chiedeva a coach e roster di ripetersi, se non addirittura migliorare: dopo l’ottima stagione della seconda scelta assoluta nel draft 2010 Evan Turner, la continua ascesa di Holiday e la solidità di Iguodala, navigare nei bassifondi della Eastern Conference non sembrava più consono per una franchigia che finalmente aveva messo la testa fuori dall’acqua.

Il processo di crescita sino a questo momento sembra procedere perfettamente: primi nell’Atlantic Divison, davanti alle più blasonate Boston e New York, i Sixers stanno attraversando un momento di forma strepitoso.

Il record attualmente è di 16 W e 6 sconfitte; c’è da segnalare però che sino ad ora la schedule è stata decisamente abbordabile: hanno già incontrato (e sconfitto) per tre volte i derelitti Wizards, due volte i Pistons ed i Bobcats.

Nelle prossime settimane si troveranno ad affrontare tutti i top team della Eastern per poi continuare ospitando le due franchigie di Los Angeles e gli Spurs: solo allora potremo realmente capire le reali potenzialità di una squadra così giovane.

Alla base di questi successi, come dicevamo, c’è la crescita esponenziale di alcuni elementi del chiave: Jrue Holiday, scelto con la 17esima chiamata nel draft 2009, dopo aver destato qualche perplessità riguardo il suo impiego nel ruolo di point-guard, ha dimostrato di poter imparare in fretta il mestiere, migliorando ogni anno in punti segnati (14,7 ppg al momento) e dando un concreto contributo in cabina di regia.

Jodie Meeks, pescato nei meandri dello stesso draft, è una guardia tiratrice più che affidabile, perfettamente inserita negli schemi di squadra e non affetto da manie di protagonismo.

Dalla panchina esce il miglior realizzatore della squadra, Lou Williams. Dopo diversi anni passati ad “educarsi” cestisticamente, Sweet-Lou sembra aver capito in quale ruolo può risultare devastante. La capacità di fornire ingenti bottini in pochi minuti di gioco rende scontato il paragone con l’attuale detentore del titolo NBA, Jason Terry.

La sorpresa di quest’anno è sicuramente il centro titolare, Spencer Hawes. Dopo anni di gavetta tra Sacramento e Philly, in cui era considerato troppo soft per il ruolo e con un tiro mediocre per giocare fronte a canestro, Collins ha capito come esaltarne le doti.

Le sue capacità di lettura all’interno dell’area infatti sono da manuale della pallacanestro, ha un’ottima visione di gioco e riesce a trovare bene taglianti e scarichi. A ciò aggiunge un discreto quantitativo di rimbalzi (8.8) ed un’onesta difesa sui lunghi.

La sua assenza nelle ultime settimane si è fatta particolarmente sentire, soprattutto nella metà campo difensiva, poiché la squadra si è dovuta strutturare in maniera anomala lasciando diversi mismatch sotto canestro alle squadre avversarie.

La (non) stella della squadra è e rimane Iguodala. Credo sia inconfutabile che il contratto non rispecchi il suo reale valore, ma se solo pochi anni prima avevano deciso di firmare a quelle cifre Elton Brand, le ripercussioni sugli altri accordi sono la conseguenza logica.

Il numero 9 non è un realizzatore puro ma è in grado di segnare, inoltre le sue doti di passatore sono eccellenti (miglior assist-man della squadra giocando da ala piccola) e la sua presenza a rimbalzo è fattiva. Se non fosse il giocatore designato a far vincere la squadra, sarebbe il complemento ideale per qualsiasi squadra da titolo (il Team USA ai mondiali ne sa qualcosa).

Ma il reale punto di forza della squadra è un altro. La difesa. Michael Curry, ex allenatore dei Detroit Pistons ed ora assistente di Collins, ha il compito di occuparsi prevalentemente di questo aspetto del gioco e nel tempo a disposizione ha compiuto un lavoro incredibile, colmando le evidenti lacune nel settore lunghi a rimbalzo ed in intimidazione sotto canestro.

La linea guida della nuova filosofia difensiva è lasciare agli avversari i cosiddetti “mid-range shot”, anche a costo di sacrificare una rotazione pur di non lasciar scoperti l’arco e l’area pitturata. Tutto ciò ha portato Philadelphia ad essere la seconda migliore difesa del campionato, dietro solo ai Bulls con 86,95 punti concessi agli avversari e prima nella percentuale concessa dall’arco (solo il 28,7%).

Il nuovo proprietario della franchigia, il miliardario Josh Harris, sembra voler fare le cose in grande e dopo le numerose voci che ancora si rincorrono sulla possibile acquisizione di Stoudemire dai Knicks, ha dichiarato di voler costruire un’organizzazione di alta qualità all’interno ed all’esterno del campo da gioco.

Vedremo se manterrà le promesse, intanto la città dell’amore fraterno può tornare a vivere la propria squadra come ha sempre voluto, da protagonista all’interno della Lega.

2 thoughts on “I Sixers pensano in grande

  1. Due osservazioni, se permetti:

    1) la prima stagione di Turner non è stata un gran che, anzi, al punto che una delle pochissime critiche che sono state mosse a Collins è proprio quella di averlo relegato in panchina e di non aver trovato il modo di utilizzarlo al meglio. Quest’anno per fortuna le cose vanno meglio, Turner non è esploso ma sta trovando i suoi spazi in quella panchina che, assieme alla difesa, è uno dei punti di forza di questa squadra

    2) Josh Harris come dici tu è diventato proprietario di recente, non lo era all’epoca in cui scelsero Collins come coach

  2. vero, harris è arrivato dopo, ricordavo male.
    il discorso turner era un’osservazione soggettiva, è stato utilizzato 23 minuti lo scorso anno quasi sempre dalla panchina ed ha messo insieme cifre decenti (7 ppg). numerose critiche ma il ruolo è tutt’ora super coperto ai sixers e nonostante questo continua a ritagliarsi spazio.

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