L'inconfondibile sorriso di Shaquille O'Neal

Ha lasciato la scena a modo suo. Ieri con un annuncio video su Twitter, ridendo, ci ha dato una di quelle notizie attese da un po’ ma che sono momenti in cui ferma tutto. E si riflette.

Shaquille O’Neal si ritira. A 19 anni dal suo debutto, dopo 4 titoli NBA, non vedremo più uno dei più grandi protagonisti della storia di questo gioco.

Ci mancherà, ammettiamolo tutti, perchè Shaq era tanto, forse anche troppo, era qualcosa di grande. Provare a ripercorrere la sua carriera e a capire il suo personaggio è un tuffo emotivo nel passato.

Shaq è stato il più grande centro della sua generazione, quella appena dopo o per parte parallela a giganti come David Robinson, Patrick Ewing e soprattutto Hakeem Olajuwon.

Nel 1996 era già tra i 50 più grandi della storia NBA, a 24 anni e dopo solo 4 stagioni. Fu un errore, perché la sua carriera era troppo corta e il riconoscimento gli fu dato prematuramente più sulla base di una previsione di un futuro da star.

Mai previsione però fu tanto accorata. L’arrivo di Shaq nella NBA è stato il botto più forte che chiude uno spettacolo pirotecnico. In una Lega dove c’era Michael Jordan, ma anche i Jazz di Stockton to Malone, Charles Barkley e i centri sopra citati non solo lo spettacolo era assicurato ma anche la competizione agguerrita per il titolo.

Oddio, siamo in piena era Michael Jordan, ma Shaq già ci prova. E quasi ci riesce. Approfittando della temporanea assenza di His Airness conduce i suoi Magic alle Finals del 1995. Sweep memorabile, ma poco importava.

Quei Magic furono già una grande sorpresa, erano giovani, talentuosi, divertivano. Ricordo personalmente che in quel periodo il marketing sugli Orlando Magic letteralmente dilagò. Anche in Italia non si vedevano altro che cappellini e magliette, poster di Shaq e Penny Hardaway.

Si pensava che potessero rappresentare la sfida ai Bulls nella Eastern Conference, che potessero creare una nuova dinastia. Erano futuribili perché tutto ruotava intorno a Shaq, il giovane fenomeno dal passato tormentato.

Nato nel New Jersey, a Newark, è cresciuto con il padre adottivo, Philip Harrison, ufficiale dell’esercito, perché quello biologico era completamente perso nella droga. Non ha mai voluto intrecciare relazione con lui e ha sempre riconosciuto come unico e vero padre il duro Harrison, che lo ha allevato come un Marine.

La sua ferra disciplina darà i suoi frutti col tempo, nel frattempo il giovane O’Neal, che sverna anche in Germania nei campi militari, è un ragazzino altissimo dalla corporatura già formata. Sono leggendari a tal proposito certi racconti, per esempio nella stessa terra teutonica.

Spesso infatti lo scambiavano per adulto e non gli permettevano di entrare nella base a seguito del padre, ad ogni modo era una spettacolo impressionante, un fenomeno della natura.

Il basket ? Diventa una cosa seria in Texas, a San Antonio. A livello di High School già fa sfracelli. Un record di 68-1 in due anni e l’attenzione con gli occhi sgranati di tanti scout da tutta America.

Shaq va al college a Lousiana State University, nel 1991 è il miglior giocatore NCAA. Le dighe sono rotte, il suo torrente in piena sta per dilagare ovunque. E’ nata già una stella, di sicuro nemmeno Michael Jordan (che come sappiamo fu scelto alla terza chiamata) suscitò tanto interesse prima di diventare professionista.

Una cosa del genere è capitata a LeBron James, anzi, molto di più, Ma LeBron era ragazzino nell’era di Internet e delle TV satellitari, Shaq ebbe a parità di condizioni tecnologiche poco meno del suo esagerato “hype” mediatico.

La frase più frequente era “Ma chi ha mai visto una cosa del genere ?”, la faccia più vista in giro lo stupore e forse sotto i baffi anche la felicità di ritrovarsi uno come lui nella NBA.

Già, cos’era Shaq ? Era già “Bigger than life”, come si dice in America. Era grosso, forte, un gigante che però con la palla ci sapeva fare. E poi rideva, scherzava, faceva battute.

Un fenomeno atletico e un talento mai visto, un grandissimo personaggio. Lo strapotere del miglior Chamberlain col sorriso di Magic. Era tanto, era troppo. “Bigger than life” appunto, più grande della vita stessa. Era cominciato lo show.

Palla sotto a lui, un paio di movimenti. Boom. Schiacciata in testa all’avversario.
Potenzialmente già qualcuno lo vedeva come il più grande centro di sempre, forse anche qualcosa in più. Di sicuro l’entusiasmo era alle stelle e poco altre volte fu così prima ed anche finora.

Le prime stagioni sono tutte un suggerirsi frenetico di slam dunk, vetri rotti e canestri letteralmente buttati giù, battute fulminati e album rap.

Shaq era anche questo. Anche il cinema lo conobbe, con Blue Chips e Kazaam, il secondo dei quali non proprio degno dell’arte di Fellini o della Nouvelle Vague ma questi sono dettagli. L’importante era lui, la sua forza magnetica, la capacità di non avere limiti.

Nonostante ad Orlando ci fosse il parco della Disney quell’ambiente a un certo punto gli stava stretto. I suoi Magic promettevano bene ma lui era troppo per quel mondo. Alla prima grande offerta che non si può rifiutare fa le valigie e parte per l’unico posto che lo può accogliere.

Hollywood. E non secondariamente i Lakers. Ovvero il palcoscenico più grande per il suo show da allegro clown, ovvero ancora, cosa più importante, la squadra più grande del mondo (con i Celtics, comunque più vincenti), che investono forte su di lui per rilanciare la loro fama dopo anni di caduta libera negli abissi.

E’ l’estate del 1996, ricordo ancora i titoli italiani alla notizia, dalla Gazzetta dello Sport, in tempo di Olimpiadi ad Atlanta. Il più importante trasferimento di sempre, qualcosa che potenzialmente poteva rivoluzionare l’intera NBA.

E così fu, ma non fin da subito. Altri tasselli mancavano, per esempio Kobe Bryant, per esempio coach Phil Jackson.

Al ritiro di Michael Jordan (anche questa volta non definitivo, a posteriori) al termine della stagione ’98 la NBA aveva perso il suo Re, il suo faro luminoso intorno al quale tutto ruotava.

Nel giro di poco tempo, dopo la stagione del lockout, Shaq colmò questo vuoto. Era lui il nuovo fulcro di tutta la Lega. Già lo era ampiamente per quello che faceva fuori dal campo. Nella stagione 2000 iniziò la sua personale dinastia sul gioco.

Avete mai visto un dominio simile da parte di un singolo giocatore come almeno solo in quei tre anni da titolo con i Lakers ?

Va benissimo Michael Jordan ma il suo era dominio elegante, da guardia che si deve conquistare ogni punto e si deve costruire da solo ogni possesso offensivo.

Con Shaq il dominio diventa strapotere fisico. E’ qualcosa che non si può nemmeno lontanamente tentare di fermare, è un fiume in piena che travolge tutto. Palla a Shaq sotto canestro. Slam dunk, semi-gancio, ma anche scarico ai compagni. E’ semplicemente immarcabile.

I Lakers vincono tre titoli di fila tra il 2000 e il 2002, poi qualcosa si rompe e Shaq decide di “spedire le labbra a un indirizzo nuovo”.

Di nuovo in Florida, questa volta a Miami, dove c’è un ragazzino promettente che con la guida di Pat Riley fa intuire a Shaq qualcosa di molto buono.

Nel 2006 aiuta il giovane Dwyane Wade fino in fondo contro Dallas e si regala il titolo da vecchio saggio, il suo quarto. Poi è la decadenza, soprattutto per uno come lui, che ha fondato il suo impero sulla forza fisica più di qualunque altro.

Gli ultimi anni sono lunghi ed erranti. Lo vedono passare a Phoenix, a Cleveland con LeBron (progetto miseramente fallito), addirittura per ultimo a Boston.

Anni inquieti di vagabondaggio che non dicono niente. Il vero Shaq si è fermato a Miami. Come ebbi a dire ha avuto tre grandi relazioni “sentimentali” nella sua vita.

Prima con Penny Hardaway, un amore adolescenziale che prometteva grandi cose ma che alla fine si è interrotto bruscamente. Tradimento ? Forse sì, perché il secondo è quello della piena maturità.

L’amore-odio con Kobe Bryant è travolgente e burrascoso ma è passione vera. I frutti della loro intensa storia sono tre anelli. Tre indimenticabili capitoli di un libro che perde le sue pagine in corso d’opera.

Niente lieto fine, ancora un tumultuoso addio. Il terzo amore è il giovane Dwyane, al quale il vecchio Shaq fa anche da balia. Rapporto proficuo, un titolo e tanti saluti.

Tutte le storie hanno una fine. Anche per chi è più grande della vita stessa. E il più grande centro di sempre ?

Di sicuro è degno erede della catena di successione del grandi centri dei Lakers, da George Mikan a Wilt Chamberlain fino a Kareem Abdul Jabbar.

Nessuno ha dato l’impressione come lui di poter dominare così i suoi avversari, forse Chamberlain, certo Mikan, ma parliamo di un’era preistorica per il basket.

Quando ha affinato i suoi movimenti, con la stessa intensità fisica degli esordi, è diventato quello che tutti avevano previsto. Dai a lui un minimo di educazione cestistica e diventerà il più grande.

Di educazione in realtà ne aveva anche parecchia e spesso si è sottovalutato molto il suo talento in post basso, spalle a canestro. Aveva una grandissima abilità nel farsi trovare il più profondo possibile nel pitturato, talento non scontato.

Se gli davi la palla proprio nel momento in cui era al massimo della profondità era finita. Slam dunk e tutti a casa. Ma sapeva anche costruirsi il suo tiro da più lontano e molte volte ci siamo stupiti della pulizia sopraffina del suo gancio, perché non viveva di sole sportellate.

Per questo, per la sua visione del campo, per la velocità di piedi assolutamente miracolosa per uno con la sua enorme stazza e per lo stesso motivo per le sue mani troppo dolci per un 2,16 e 150 chili, possiamo definirlo tranquillamente come uno dei più grandi di questo gioco.

Grande intimidatore nel suo prime, magari ha preso sempre un rimbalzo in meno di quello che è logico aspettarsi da uno come lui, ma certo la sua presenza ha ridefinito i confini della NBA.

Tutte le squadre dovevano attrezzarsi contro di lui per vincere nei playoff e questa corsa alla strategia anti-Shaq è l’attestazione di come fosse, ai tempi dei Lakers, il singolo giocatore più forte, colui contro il quale si costruivano i team in estate e si adattavano durante la partita.

E’ arrivato al massimo del livello possibile. Ha concretizzato a pieno il suo infinito potenziale, ha raggiunto ogni obiettivo a livello individuale (Rookie dell’anno, MVP nel 2000, 3 volte MVP delle Finals, 2 volte miglior scorer, 15 volte All-Star e 8 nel primo quintetto NBA) e con 4 titoli si avvia con corsia preferenziale nella Hall of Fame.

Di più, è stato il cornerstone di una dinastia e questo non è certo da tutti e ancor di più, come già detto, è stato colui che si è preso in mano la NBA lasciata da Michael Jordan, semplicemente “the greatest”, facendolo rimpiangere il giusto mentre lui guidava i Lakers ai fasti d’inizio terzo millennio.

Quando un giocatore segna un’epoca può essere soddisfatto di sé ed questo il più grande riconoscimento. C’è stata un’era Mikan, un’era Bill Russell, poi dopo gli inquieti anni ’70 sono arrivati Magic Johnson e Larry Bird, poi Michael Jordan e poi Shaq, poi magari Kobe e LeBron ma questa è un’altra storia.

Sui libri invece, di storia appunto, il capitolo è chiaro.
In copertina c’è solo il suo sorriso istrionico. Cosa ricorderemo di lui ?

Il giocatore? Il personaggio?
Di lui resterà l’aurea birichina da rispettato signore del gioco, perché l’unico tributo che gli possiamo fare oggi a fine carriera è di inchinarci alla sua grandezza.

Ma quante risate, quante trovate, che allegra spensieratezza. Superman, Big Diesel, addirittura Big Aristotele, dalle Queens al posto di Kings per irridere Sacramento fino ad un altro classico del suo gioco.

“Se fossi stato capace di avere una percentuale dell’80% ai liberi sarei stato visto come una persona arrogante e non umile. Tutto accade per una precisa ragione”.

Dati definitivi. Su 13569 tentativi, playoff compresi, ne ha messi dentro 7103, il 52 %. Ma sono 13569 tiri uno diverso dall’altro, chi lungo, chi corto, chi storto, anche alcuni airball. Uno spasso lungo quasi vent’anni, su cui uno come Federico Buffa qui in Italia ha fondato parte del suo successo come color commentator.

Senza parlare dell’Hack-a-Shaq, una mossa palesemente contro la costituzione del gioco, un altro dei certificati di come ha completamente permeato della sua grandezza l’intero gioco.

Ci mancherà meno di altri grandi paradossalmente, perché il suo personaggio continuerà ad esistere anche fuori dal campo, pure adesso che non calcherà più il parquet.

E’ una bella consolazione, perché uno come lui non lo vorresti abbandonare mai. A meno che non mantenga davvero la sua parola d’onore e vada a fare il poliziotto come ha sempre dichiarato come il suo più grande sogno a carriera finita.

Innanzitutto una divisa che si adatti al suo corpo la devono ancora inventare ma ad ogni modo, voi credete che diventi di colpo una persona seria e vada a rincorrere i criminali tra le strade polverose d’America ?

Non ci prendiamo in giro, dai. L’unico giro in cui ho creduto in questi anni è quello del suo piede perno verso il canestro. Boom. Slam Dunk. Tutti a casa.

Grazie Shaq !

21 thoughts on “Shaq si ritira, un tributo ad un grande del gioco

  1. “Se fossi stato capace di avere una percentuale dell’80% ai liberi sarei stato visto come una persona arrogante e non umile. Tutto accade per una precisa ragione”.

    Io non l’ho MAI visto umile…
    Una macchietta dominante, quello si.
    Lascia un “gran” vuoto nella Lega, ci mancherà.

    P.S. Tifafo Kings ai tempi del suo Queens’ Rap

  2. quoto dr.Lecter82. Un pallone gonfiato con un fisico debordante, period. Senza Kobe o Wade non avrebbe mai vinto niente, perchè quando la partita è in bilico non si può dare la palla a un bestione che tira col 50% i liberi. E in classifica dei centri di tutti i tempi Olajuwon e Duncan gli stanno sopra di una spanna, per fortuna del bel basket. Quando un pivot dalla tecnica perfetta incontra un pivot dominante fisicamente, il pivot fisico è un pivot morto.
    Bill Russell (ma come hai fatto a non citarlo?)-Wilt Chamberlain 11-2 (le somiglianze tra Shaq e WC sono un’infinità: tanto dominanti fisicamente quanto inetti ai liberi, tanto divertimento fuori dal parquet, necessità di una guardia coi controcazzi per vincere, Greer e West per WC)
    Kareem-Moses Malone 6-1
    Hakeem-Shaq 4-0 (no contest, quando lo scontro tra due centri di suprema eleganza tecnica come Olajuwon e Ewing ebbe bisogno di 7 gare per avere un vincitore)

  3. quella frase era chiaramente ironica, cmq articolo stupendo, Shaq ci mancherà e lo dice un tifoso pazzo dei magic che l’ha odiato per quell’addio che ha rovinato una generazione di magics, ma del resto lo amo perchè fu grazie a lui ed il suosorrisone se mi sono avvicinato al mondo NBA ed ho iniziato a tifare orlando, ho ancora la sua card ed ora che si è ritirato penso che la farò mettere in una cornice di vetro

  4. Veramente Shaq contro Duncan ci ha giocato, e mi pare anche discretamente…ad ogni modo, piaccia o non piaccia questo è uno dei migliori giocatori nella storia della NBA, ricordato alla grande in questo articolo. Parafrasando il titolo dell’articolo sull’ultimo anno in panchina di Phil Jackson: “sipario, applausi”.

  5. non concordo su chi dice che il 3peat sia soprattutto merito di Kobe; è l’esatto contrario….Kobe è cresciuto all’ombra di una colonna che polarizzava le difese, raccattava i suoi tiri sbagliati, stoppava gli attaccanti che Kobe non si degnava di marcare, segnava con continuità incessante contro ogni difesa, prendeva le botte molto più del suo compagno e subiva il triplo dei raddoppi. Tecnicamente ha sviluppato ciò che gli serviva per essere strapontente e dominante e ha segnato molti più canestri decisivi del primo Kobe (che per la verità non ha mai brillato in questa specialità). Fu annullato da Holajouwon solo perchè era semplicemente il miglior centro tecnico nella nba ed il suo supporting cast era migliore, ma anche Wade ha beneficiato del decentramento difensivo su di lui. Nè i Pacers, nè i Nets, nèi Mavericks, nessuno lo poteva fermare…nessuno

  6. Molto revisionismo storico come al solito su questo sito, l’articolo è molto bello e spiega esattamente quello che è stato shaq, negli anni ha vinto e perso alcuni grandi scontri, ma come più o meno tutti i grandi dell’nba, ma nessuno l’ha dominato, neanche hakeem, che vinse la serie e di misura il confronto, contro però uno shaq al terzo anno che fece 28-12-6 di media col 58% dal campo, quindi non pizza e fichi, queela serie finì sul 4-0 a causa della grande differenza( soprattutto in esperienza) fra i due roster.Con duncan ha giocato e spesso vinto, con tutti gli atri nn c’era storia. Tirava male i liberi e direi per fortuna, altrimenti non si iniziava neanche, però in tutto il resto era veramente dominante.
    Però non diciamo che kobe era un cesso per incensare lui e i suoi tre titoli, aanche kobe fece il suo da secondo violino e si fgece il culo alla grande, quindi cerchiamo di dire la verità e non quello che ci pare anche perchè molti quelle serie e quelle stagioni le hanno viste….

    • quoto in pieno.
      all’epoca kobe difendeva alla grande. nelle serie contro gli spurs che avevano duncan+robinson che si alternavano su shaq , kobe aiutava non poco.
      secondo il combo piu forte di sempre. se fossero andati d’accordo, insieme avrebbero potuto vincere anche quest’anno

  7. In pratica ho scoperto che Bryant in quel three peat non ha fatto un cazzo, LOL, siamo passati da un estremo all’altro.

  8. Se davvero fosse stato Shaq l’unico motivo del 3peat Lakers allora mi stupisco come non lo sia stato anche a Orlando (che pure aveva Penny e una squadretta più che decente) o nei primi Lakers che lo accolsero.
    Ci volle l’arrivo di Kobe e di Phil Jackson per portare i Lakers al titolo, certo The Diesel è stato una pedina centrale di quella dinastia, ma dall’altra parte bisogna ammettere che nessun giocatore da solo ha vinto un titolo.
    Salutiamo un grande di questo sport ed evitiamo le discussioni inutili.

  9. nel consueto walzer dei “chihavintograzieachi” mi limito a un “mi mancherà”.
    sia dentro che fuori dal campo.

  10. giovanni
    “Senza Kobe o Wade non avrebbe mai vinto niente”

    no,vincevi tu al posto suo ahhahaahhaha che gente che si deve sentire.

  11. ricordo molto volentieri quando shaq é venuto a milano nel 1993 dopo il suo primo anno chiuso come r.o.y. Che dopo aver fatto una decina di dunks e 1vs 1 con dei bambini, ha tenuto un piccolo cocerto hip hop con il suo gruppo… Semplicente than larger than life

  12. “questa corsa alla strategia anti-Shaq è l’attestazione di come fosse, ai tempi dei Lakers, il singolo giocatore più forte, colui contro il quale si costruivano i team in estate e si adattavano durante la partita.”

    “L’Hack-a-Sha … un altro dei certificati di come ha completamente permeato della sua grandezza l’intero gioco.”

    Sto ragionamento mi eccita: se la squadra avversaria ti fa fallo sistematico, vuol dire che 6 un campione, che 6 al centro dei pensieri dell’allenatore avversario..

    Non vuol dire che tiri dei mattoni sul ferro, che 6 una sega ai liberi. Non vuol dire che l’allenatore in realtà fa fallo sul + debole ai tiri liberi perchè ha la garanzia di avere max. 1 punto subito – invece che 2 o 3.
    No, vuol dire che Shaq era cosi dominante che dovevano fermarlo solo facendogli fallo…
    Che ragionamento..

  13. “Senza parlare dell’Hack-a-Shaq…un altro dei certificati di come ha completamente permeato della sua grandezza l’intero gioco.”

    Che ragionamento…
    6 ti fanno fallo sistematico, vuol dire che 6 un campione, che 6 cosi dominante che non hanno altra scelta che fermarti cosi..
    Non vuol dire che 6 una sega ai liberi, che 6 il + sfigato di tutti quelli in campo e che l’allenatore avversario ti fa fallo perchè spera di subire al max. 1 punto invece che 2 o 3..

  14. a shaq grazie x le mille notti insonni con conseguenti levataccie grazie x le mille lacrime di gioia e x tutte le risate

    ci mancherai bestione !!!!!!!!

  15. al momento non vedo nessun centro lontanamente avvicinabile allo Shaq degli anni d’oro

  16. Con buona pace degli haters, Shaq è un pezzo della storia recente dell’nba. Non ci sono ammiragli o giamaicani che tengono, Shaq è stato il giocatore più dominante dai tempi di Mj.
    Se restringiamo la classifica ai soli centri si scontra con miti del calibro di Chamberlain, Jabbar, Russel, Olajuwon.

    p.s. a chi tira in ballo Kobe anche quando si parla di polli di gomma rispondo con i 3 titoli di MVP delle finali che O’Neil ha portato a casa in altrettanti titoli. Parlano da soli

  17. Complimenti per l’articolo. :)
    Glissa un pò sul periodo di difficoltà avuto da shaq (i primi anni di sconfitte ai Lakers) ma per un tributo ci sta..

    Nei commenti alcune cose allucinanti che non credevo di poter leggere su uno come Shaq..spero almeno siano di persone che lo hanno visto giocare sol negli ultimi anni.
    Complimenti a giovanni, già il fatto di mettere Duncan nella classifica dei migliori CENTRI di tutti i tempi la dice lunga… :D

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