Nowitzki contro James: una sfida stellare deciderà il titolo NBA 2011

La solita, lunga stagione del basket professionistico americano ci consegna la finale fra i Dallas Mavericks ed i Miami Heat, la riproposizione della finale del 2006, che portò l’unico titolo agli Heat e devastò quella ottima squadra che erano i Mavericks di allora.

Una finale assolutamente sorprendente, sia di per se stessa che per i modi con cui ci si è arrivati.
Gli Heat del trio di stelle infatti sono una squadra che tutti considerano predestinata a molti successi per un lungo periodo di tempo, ma non si pensava potesse arrivare subito in finale, visto che la squadra è stata totalmente rivoluzionata in estate per arrivare al trio e che alcuni ruoli sono stati chiaramente ricoperti in modo insufficiente.

I Mavericks invece non si erano più ripresi da quella finale persa, il vulcanico proprietario Marc Cuban ha stravolto più volte la squadra, cambiando allenatore e quasi tutti i giocatori solo per avere 4 stagioni deludenti, tutte caratterizzate da una prematura uscita dai play off, tanto che nessuno dava alcun credito ad una squadra che pure aveva dalla sua un notevole talento.

Se già di per se è sorprendente vedere queste due squadre in finale, ancora più sorprendente è la sicurezza con cui si sono sbarazzate di tutte le avversarie senza mai lasciare loro alcuna speranza.

Nessuna avversaria può avanzare recriminazioni fondate, tutte devono pensare a cosa fare per poter competere in futuro. Sorprendente soprattutto il modo con cui le due squadre si sono sbarazzate delle due finaliste dello scorso anno, i Los Angeles Lakers ed i Boston Celtics, rispedite a casa rispettivamente con un 4 a 0 ed un 4 ad 1 che non lasciano adito a discussioni.

Va subito chiarito questo: se in partenza ci potevano essere molti dubbi, fondati, sulle due squadre, entrambe sono state capaci di fugarli uno ad uno e sono senza meno le due squadre più meritevoli di giocarsi il titolo.

Gli Heat non hanno nulla della squadra della scorsa stagione, se non il giocatore più celebre, Dwyane Wade, il capitano Udonis Haslem ed un paio di giocatori come Chalmers e Jones. Poi in estate c’è stata “the decision”, quel clamoroso spettacolo televisivo in cui Lebron James comparve con Dwyane Wade e Chris Bosh dicendo “Stiamo per portare i nostri talenti a South Beach!”

Qualunque cosa si voglia pensare di quella decisione, non è questa la sede per parlarne, in pochi minuti è stato rivoluzionato il futuro della franchigia, che si è trovata ad avere nel roster tre giocatori considerati fra i talenti più puri dell’NBA ed a diventare automaticamente la squadra più in vista della lega.

Con tre soli giocatori però, per quanto forti, non si fa una squadra e c’era pure qualche dubbio sulla compatibilità dei tre. In teoria potevano esserci dubbi anche su una squadra che ha tre stelle fra gli esterni e comprimari come play e centro, ma su questo la risposta l’avevano già data i Celtics qualche tempo fa.

Nel ruolo di point guard possiamo dire che le cose sono state risolte nel modo migliore possibile per una franchigia che abbia esaurito lo spazio salariale per pagare tre stelle, infatti al giovane Chalmers, che non ha mai fatto il salto di qualità ma ha le caratteristiche ideali per giocare vicino a Wade e James, sono stati affiancati prima il tiratore Mike Miller, guardia tiratrice con abilità di regia, e poi Mike Bibby, altro play abituato a gestire poco la palla ed a restare appostato sugli scarichi.

Nessuno dei tre può essere considerato un giocatore di grande livello, Bibby lo era ma da qualche anno non è più riuscito a giocare ai suoi livelli migliori, ma in una squadra che abbia fra le proprie fila Wade e James sono più che sufficienti.

Fra i lunghi le difficoltà ci sono, con Bosh, che già di per se non è mai stato un cuor di leone, ci sono Udonis Haslem, capitano coraggioso e difensore piuttosto buono, ma non adatto a giocare spalle a canestro e con pochi centimetri per giocare centro, e poi una serie di giocatori limitati per via del talento, come Anthony, o dell’età e delle condizioni fisiche, come Magloire, Ilgauskas e Juwan Howard, l’unico dei famosi Fab Five dell’università del Michigan che può ancora vincere qualcosa.

Le difficoltà sono indubbie, abbiamo anche visto come contro i Celtics prima ed i Bulls poi Garnett e Noah abbiano disputato buone serie, ma alla fine gli Heat hanno lo stesso dominato gli avversari. La panchina infine è stata completata con due tiratori puri, il confermato James Jones ed un Eddie House che ha cambiato tantissime squadre.

La rosa è quanto di meglio si potesse mettere in piedi per una squadra che ha esaurito lo spazio salariale per le proprie tre stelle, non c’erano margini per sognare giocatori differenti, però pareva che alcune lacune potessero davvero preoccupare Pat Riley e gli altri dirigenti degli Heat.

Principalmente c’erano tre grosse perplessità da fugare: la scarsa attitudine difensiva dimostrata nel corso degli anni dalla maggior parte degli elementi a disposizione, una difficile adattabilità dei tre amici a giocare assieme ed il carisma del giovane coach Spoelstra.

Giocatori e staff tecnico dall’inizio della stagione si sono concentrati principalmente sul primo dei supposti problemi, la costituzione di un credibile sistema difensivo, ed ormai è qualche mese che si può dire che la missione è compiuta.

Gli Heat continuano a soffrire con le squadre molto perimetrali, hanno ancora qualche difficoltà contro i centri più forti, ma nel complesso possono vantare una difesa fra le migliori della lega, se non la migliore in assoluto, una difesa che ha messo in imbarazzo qualsiasi attacco. Anche giocatori conosciuti quasi come casellanti, ad esempio Mike Bibby e Chris Bosh, hanno profuso il massimo impegno ed hanno portato il loro contributo.

Sulla compatibilità delle tre stelle in fase offensiva invece i dubbi sono rimasti fino a pochissimo tempo fa. Non si discuteva tanto la buona volontà dei tre, se si sono messi d’accordo fra di loro per giocare assieme era evidente che avevano l’intenzione di trovare un modo per farlo con costrutto, ma proprio le caratteristiche tecniche dei tre. Wade e James hanno sempre giocato molto la palla, a volte addirittura iniziando l’azione, quasi sempre gestendo la palla nei momenti cruciali, e sono abituati a creare dal palleggio.

Entrambi inoltre sono migliorati tantissimo, rispetto al loro esordio, nel tiro dalla media e lunga distanza, ma per nessuno dei due il tiro è l’opzione preferita. Bosh ha sempre giocato fronte a canestro, allontanandosi anche dal ferro, cosa che facilita molto le penetrazioni dei compagni, ma non ha mai portato intimidazione in area e, soprattutto, non è mai stato un buon passatore, anzi, ha spesso avuto la tendenza a tenere troppo la palla.

Fino alla pausa dell’All Star Game il gioco degli Heat ha confermato questi dubbi ed era composto da una lunga serie di isolamenti e giochi a due fra le tre stelle senza troppa logica. Adesso il gioco è sempre composto da una lunga sequela di giochi a due ed isolamenti, ma tutt’un tratto è apparsa una logica in questo susseguirsi di azioni.

Il gioco a due infatti è diventato non tanto un modo per far iniziare l’azione palla in mano ad uno fra James e Wade e poi sperare che inventi qualcosa, ma un modo studiato con attenzione per portare al tiro l’uomo più pericoloso in un determinato frangente.

Certo, siamo sempre ad un sistema di gioco scarno ed essenziale, ma non è più tutto lasciato all’improvvisazione ed i tre sembrano aver trovato un modo per giocare insieme che non sarà il preferito dei puristi del basket e di coloro che amano, come il sottoscritto, un gioco basato sulla circolazione di palla, ma che inizia a diventare logico ed efficace.

Probabilmente l’artefice di questi correttivi è proprio coach Spoelstra, che ha avuto l’umiltà e l’intelligenza di lavorare con le sue stelle in punta di piedi, concentrandosi su una cosa alla volta, e pare proprio sia stato accettato dal gruppo ed ormai sia rispettato.

Gli avversari sono il gruppo meno pronosticato della vigilia, quei Dallas Mavericks tanto abituati a cocenti delusioni ai play off che ormai tutti li consideravano un gruppo finito e destinato ad uscire al primo turno, tanto che anche per loro pareva la cosa più facile crogiolarsi in un fallimento annunciato.

Così non è stato, giocatori ed allenatore hanno trovato la forza per riscattarsi, messa da parte qualsiasi velleità di riconoscimenti personali, più o meno tutti i giocatori nella rosa hanno avuto momenti di gloria in passato, quasi sempre da “loosing effort”, si sono tutti messi totalmente a disposizione del gruppo e lentamente, ma inesorabilmente, hanno creato un sistema di gioco perfetto, un sistema di gioco offensivo basato sulla circolazione di palla flessibile, adattabile alle circostanze e facilmente modificabile.

Per sostenere un sistema simile servono visione di gioco ed intelligenza tattica, qualità che parevano proprie solamente di pochi giocatori nella rosa, eppure tutti si sono calati alla perfezione in questo meccanismo, che esalta ora l’uno ora l’altro dei giocatori, sempre quello più adatto a mettere in difficoltà la difesa avversaria.

Questo tipo di sistema per forza di cose ha portato la squadra ad essere molto perimetrale ed ha puntare molto sul tiro da 3, ma giocatori come Terry, Stojakovic, Barea, perfino Kidd e Stevenson hanno sfruttato benissimo gli spazi che si aprivano per i tiri piazzati.

Per impedire che gli avversari si concentrassero troppo sui tiratori coach Carlisle ha potuto contare sulle penetrazioni di Shawn Marion, che innescato da Jason Kidd sta vivendo una nuova giovinezza, e Tyson Chandler, che sta giocando dei play off superbi, sempre abituato a lottare contro avversari in superiorità numerica nell’area pitturata.

In tutto questo c’è anche il pregio di una panchina infinita, la più lunga e forte che si ricordi da anni in NBA, che permette di superare momenti difficili ed assenze anche di giocatori importanti. Per esempio in questi play off sono assenti il giovane e promettente play francese Beaubois e Caron Butler, l’esterno più atletico, cui solo un miracolo potrebbe permettere di essere presenti in finale, ma i texani hanno lo stesso una panchina lunga e forte.

Per ultimo citiamo coloro che si stanno dimostrando i veri leaders della squadra, Jason Kidd, tornato su livelli elevatissimi nonostante i 38 anni, leader silenzioso, che prende pochissime iniziative ed ha visto i propri numeri diminuire a vista d’occhio, ma sta guidando la squadra con una sagacia tattica incredibile e sta dimostrando di essere probabilmente il giocatore con la maggiore comprensione del gioco in attività, e Dirk Nowitzki, l’uomo che era stato considerato un perdente, l’uomo che calava nei finali, l’uomo che ha sollevato il premio per il miglior giocatore della lega dopo una cocente eliminazione, l’uomo che smentendo tutti in questi play off (ma non solo in questi play off, a dire il vero) ha mostrato una personalità notevole, ha avvicinato il suo gioco al canestro per favorire i compagni e, soprattutto, ha elevato il suo gioco nei finali come solo i veri vincenti sanno fare, giocando sempre dei minuti finali su livelli elevatissimi.

A fronte di una organizzazione offensiva impeccabile ancora la fase difensiva dei texani non è impeccabile, lo scarso atletismo e l’attenzione accurata destinata all’attacco lo impediscono. Non bisogna tuttavia sottovalutare troppo i terribili vecchietti texani neanche da questo punto di vista. Il fatto di non pressare troppo e la tattica attendistica in difesa paiono una scelta ponderata, effettuata per non consumare troppe energie e scegliere una tattica più vicina alle caratteristiche ed all’età media dei giocatori.

Quando i texani infatti decidono di provare un allungo oppure nei finali di partita la difesa improvvisamente diventa più aggressiva e tende a togliere lucidità ai giocatori avversari. In tutti i turni precedenti è capitato che nelle prime partite della serie alcuni giocatori abbiano messo in difficoltà la difesa dei Mavericks, ma tutti, senza esclusione, nelle ultime gare sono spariti dal campo nei minuti finali.

Prima è accaduto a Roy ed Alridge, infine a Durant e Westbrook ed in mezzo ai due volte di fila campioni Bryant e Gasol, non può trattarsi di un aspetto casuale, di scarsa forma degli avversari o di poco carattere da parte loro. Due coincidenze sono due coincidenze, tre coincidenze sono una prova, diceva Agatha Christie, finali del genere sono senza dubbio merito dei Mavericks e non colpa di cali dei loro avversari.

Le due squadre sono tanto differenti fra di loro che diventa difficile effettuare pronostici. Atletici, aggressivi, impulsivi, amanti della scenografia, sicuri di se gli Heat che hanno dalla loro un attacco scarno ed una difesa di ferro, esperti, intelligenti, flessibili, grandi passatori i Mavericks che hanno dalla loro un sistema offensivo che funziona come un orologio. Armonia di gioco, collettivo che esalta le qualità individuali contro estro di campioni esaltato da un sistema di gioco costruito su misura.

Oltretutto l’eccellente difesa degli Heat tende a soffrire le squadre molto perimetrali, che tirano bene e girano al largo dall’area, mentre i Mavericks tendono a soffrire gli avversari molto bravi a penetrare.

Inevitabilmente vincerà chi riuscirà ad imporre il proprio stile di gioco.
Se gli Heat riusciranno a limitare l’attacco avversario e penetrare con continuità non lasceranno scampo agli avversari, ma se si lasciassero ipnotizzare dalla fitta rete di passaggi e si lasciassero ingolosire dagli spazi che sicuramente i Mavericks lasceranno per andare poi a chiudere improvvisamente la saracinesca potrebbero rischiare, anche perchè i giocatori da South Beach hanno la tendenza a chiudere in difesa sugli avversari più forti, cercando punti di riferimento, quei punti di riferimento che i texani sono maestri nel togliere.

La logica porterebbe a dare per favoriti gli Heat, la squadra del prescelto, Lebron James, che il più fedele compagno di Mike Jordan, Scottie Pippen, ha appena definito il giocatore potenzialmente più forte di tutti i tempi, la squadra di Dwyane Wade, il più umile e discreto dei grandi realizzatori, e di Chris Bosh, meno forte degli altri ma pur sempre uno dei migliori realizzatori fra i lunghi, ma basta un ricordo di quel gioco armonico, intelligente, paziente dei Mavericks, un gioco dove non c’è nulla di atletica, salto in alto, lotta ma c’è tantissimo di basket per convincersi che nulla è ancora scritto.

6 thoughts on “L’NBA ci regala una finale indecifrabile e sorprendente

  1. Contro ogni senso del pudore (cestistico) i Mavs stanno segnando meglio nei playoff che in stagione regolare: con la “complicità” di Blazers, Lakers e Thunder (nessuna delle tre celebre per la propria difesa) l’offensive rating dei Mavs è passato dal 109,7 in stagione al clamoroso 114,3 dei playoff, abbinato ad un maestoso 38,8% da oltre l’arco.
    Insomma, stanno ancora aspettando di trovare una difesa degna della post-season… e qui gli Heat, ottimi in difesa, potrebbero davvero fare la differenza, specialmente se marcano d’anticipo Dirk (magari con Anthony) e restano svegli sulle rotazioni perimetrali (i Mavs sono tra quelli che segnagno di più su assist, quasi il 60%, e tutte le 20 celeberrime triple insaccate contro L.A. erano infatti su assist…).

    Gli Heat, invece, hanno “fatto tirocinio” contro le acerrime difese di Boston e Chicago, per cui trovarsi di fronte quella di Dallas potrebbe essere quasi un sollievo… sebbene Miami resti una squadra poco incline a far circolare la palla (47% dei canestri su assist, solo i Magic hanno fatto di peggio), per cui se Marion fa miracoli su James, l’intero attacco potrebbe perdere molta della sua efficacia; soprattutto la zona dei Mavs (per non lasciare Terry o KIdd in balia di Wade) potrebbe essere una spina nel fianco, se gli Heat continuano a tirare da 3 con il 32,2%…

    Con il cuore “old school” sorriderei per i Mavs, ma per stile di gioco (e difesa) temo (si, “temo”) che, a South Beach, l’investimento sui talenti frutti un anello già al primo bilancio…

  2. Se Dio esiste veramente e c’è una giustizia divina Dirk e Kidd si mettono l’anello al dito

  3. vi leggo da anni e vi stima ma “Mike Jordan” ……..
    per Dallas la chiave della finale Dallas è fermare Wade ed è dura senza Beaubois e Butler.
    Forza il portoricano ed il tedesco e go mavs

  4. LBJ ha dichiarato dopo gara 5: “un altro mese di odio nei nostri confronti..”, ma non è nei confronti della sua squadra, ma nei SUOI confronti. Continua a vantarsi, ora anche delle sue doti di difensore su Rose, ma non c’è qualcuno che lo castiga?

  5. Unica soluzione la zona, non hanno stopper per quei due, Dallas deve pensare a farne uno in più invece che preoccuparsi in difesa, le partite a punteggio basso le vincerà Miami.

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