Sam Presti, forse il N.1 dei nuovi GM NBA, ha effettivamente più l'aria da contabile che da uomo di sport...

Che la NBA non sia piu’ quella che mi ricordo io, avrei dovuto capirlo da tempo.
E la colpa e’ principalmente mia: verso la fine degli anni 80 difficilmente avrei sbagliato altezza, college di provenienza, mano preferita ed abitudini alimentari del settimo uomo di una qualsiasi delle (23) franchige NBA.

Potevo fare il piu’ classico degli sboroni con gli amici, snocciolando titoli e formazioni, MVP e premietti vari, con il classico sorrisino carogna di chi sa di sapere…

Sono passati 20 e piu’ anni, le franchigie sono diventate 30, e se mi chiedete chi e’ l’ottavo che siede sulla panca dei miei Celtics, comincio gia’ a pensare se sia il caso di chiedere l’aiuto del pubblico o la telefonata a casa.

D’accordo, direte voi. Sei vecchio, cominci a perdere colpi, fortuna che in casa nuova metti sempre la macchina in garage, altrimenti vagheresti ore per il quartiere, dopo esserti dimenticato l’ultimo parcheggio. Giri con bigliettini e promemoria per qualsiasi cosa, talvolta ti servono bigliettini riepilogativi per altri bigliettini.

Per rientrare a bomba sull’argomento basket, al Fanta della compagnia ti fanno giocare perche’ sei il piu’ vecchio, che oramai fa anche rima con rincoglionito, e gli amici sono troppo educati per dirti che il tuo unico scopo e’ quello di riempire la casella dell’ultimo.

Gia’ dopo i primi 2-3 giri, cominci a chiederti chi cavolo e’ quel play che il tizio prima di te ha scelto, vantandosi poi con tutti per la bella pescata. Tu manco ce lo avevi in lista, probabilmente per te stava ancora al college…

Va bene tutto, pero’ anche questa lega ci sta mettendo parecchio del suo.
Una volta c’erano le trade “furto”. Ai bei tempi, il GM scaltro appioppava al pollo di turno una star sul viale del tramonto, ed in cambio si faceva dare giovani in odore di sboccio e prime scelte.

Queste prime scelte, in epoca pre-draft, spesso diventavano Pick altissimi (non crederete mica  che i Lakers abbiamo preso Magic e Worthy alla 1 perche’ erano finiti ultimi?) e le scafate franchigie si godevano talenti in grado di determinare decenni di successi.

Alcuni proprietari erano vere e proprie macchiette, probabilmente una sorta di cumenda al quale l’affarista di turno, tra uno splendido  terreno edificabile sul gran Canyon ed un complesso con piscina all’aperto in Alaska, aveva proposto l’acquisto di una franchigia, cosi’ tanto per diversificare il modo di perdere soldi.

Poi e’ arrivato David Stern, e dopo qualche anno il Salary Cap, ovvero la democrazia fatta Lega. Tutti spendono la stessa cifra, sia che tu  pascoli l’opulenta Los Angeles di Kareem e Magic, sia che tu arranchi nella fredda Milwaukee o nella piovosa Seattle.

E un caso a parte e’ “lo sbaglio sul lago” ovvero l’insidiosa Cleveland. Per anni zimbella della lega dei canestri, verso la fine degli anni 80 mette su una squadra niente male (Daugherthy, Price, Harper, Larry Nance) e solo il primo devastante MJ la respinge dalle serie playoff che contano.

Da quel momento in poi le franchigie da titolo si costruiscono su Draft, trade oculatissime, chirurgici rinnovi di contratto o offerte sul mercato dei free agent, e pochi, pochissimi scambi. Ma furti se ne vedono sempre meno.

E fare il GM comincia a diventare un lavoro per gente con il cervello fino. Si distingue Jerry Krause (ma partire da Michelino Jordan e’ privilegio concesso a uno solo) che drafta Pippen, poi Grant piu’ Armstrong, scambia Oakley per Cartwright (si, quello che pesto’ Jordan in allenamento), e poi tutta una serie di simil-capolavori anno dopo anno: Kukoc, Rodman, il compianto Brian Williams/Bison Dele.

Economicamente pero’ il gioco non e’ complicatissimo, anche perche’ la Lega funziona benissimo ed il tetto dei salari continua a salire alla grandissima.

Al punto che i soldoni non arrivano solo in tasca alle superstar, ma anche a quei mezzi figuri che si mettono sul mercato al momento giusto.

Altro che Chris Bosh, nel lontano 1987 Detroit arriva ad offrire una mostruosita’ lunga 6 anni e pesante 13 milioni di $ a tale John Koncack, segaligno e sgraziato lungagnone di Atlanta. E fa scandalo che gli Hawks pareggino l’offerta, legandosi al collo una discreta macina da mulino.

Da li’ in poi un escalation, che  arriva a toccare anche i contratti dei rookies.
Avevo gia’ piu’ di 20 anni, quando un imberbe ma apparentemente fortissimo Glenn Robinson, primissima scelta da Purdue draftato da Milwaukee, arrivo’ a dichiarare di voler essere il primo giocatore a firmare un contratto da 100 milioni di dollari complessivi, e questo prima di aver messo un solo canestro da professionista.

Una roba oscena dal punto di vista morale, ma il sistema economico funzionava, ed io non mi dovevo preoccupare troppo della contabilita’ quando valutavo le mosse di mercato.

Stern pero’ viene pagato per avere questi pensieri, ed escogita l’ennesimo colpo di genio: i rookie avranno il primo contratto sempre da 3 anni piu’ uno, con cifre rapportate all’ordine di scelta.

Inoltre i giocatori possono guadagnare fino ad un massimo del 35% del salary cap complessivo della squadra, percentuale che decresce a seconda degli anni di servizio del nostro amico in mutande e canotta.

Svolta epocale: per rinnovare un contratto non e’ piu’ neccessario assoldare uno di quei barracuda in giacca e cravatta, comunemente definiti agenti (citofonare David Falk, agente di MJ, per qualche anno il secondo avvocato di origine ebraica piu’ potente del basket americano), ma basta una calcolatrice con buone batterie e, possibilmente, un bravo contabile.

Ecco che ho fatto il nome del nostro uomo.
Oggi nella NBA, uno che conosca le regole del salary cap e le relative eccezioni (mid-level, bi-annual, rookie scale, e poi le mie tre preferite: Larry Bird, Early Bird, non-Bird) e che in esse si sappia districare, secondo me vale come un bravo giocatore.

In questi anni, proprio a causa del Contratto (o CBA) che regola il traffico monetario della Lega, e’ venuta alla ribalta una curiosissima tipologia di giocatore. Anzi no, non e’ un giocatore, ma piu’ precisamente e’ l’intestatario del  “contrattone-yogurt in scadenza”.

Raramente parliamo di superstar, perche’, proprio per la definizione, nessun GM che si rispetti si concede il rischio di far arrivare a scadenza il proprio gioiello (peraltro questo capita anche nella continentale pedata).

Parliamo invece di quei giocatori buonissimi, buoni, discreti, semi-discreti, scarsi, caratterialmente instabili, perennemente rotti, o una qualsiasi combinazione di due o piu’ di queste caratteristiche, ai quali sia stato intestato un contratto pluriennale di svariati milioni di pezzi in verde, ed il cui contratto scade a fine stagione.

Dopo avere scatenato gli insulti e le ulcere dei propri supporter e le acide derisioni degli altri tifosi, improvvisamente si accende la lucina e questi contratti diventano il Gronchi Rosa alle 12:00 del 2 luglio del 61.

Come la compagna di banco racchia per 3 anni, che nessuno si e’ mai filato, ma che improvvisamente vince alla lotteria, va dal miglior chirurgo plastico del cucuzzaro, e ti si presenta l’ultimo giorno di scuola talmente in tiro che il tuo ormone potrebbe alzare penna, calamaio e pure tutto il banco in un impeto di euforia.

In questi anni abbiamo assistito a scambi tecnicamente ridicoli, ma sensatissimi da parte di societa’ che volevano rifondare, e che facevano di tutto per scaricare contratti pesanti, magari anche di giocatori buoni, e cercavano disperatamente di trovare l’amatore.

Gia’, ma non e’ mica un lavoro semplice.
Magari io non so esattamente come stanno i legamenti del ginocchio di un Tyson Chandler, ed ho bisogno di una visita medica per far saltare uno scambio gia’ definito; ma i numeri sui contratti e le relative scadenzi, quelli sono pubblici, e non e’ facile trovare gli incastri giusti.

Qualche volta, e non sono cosi’ poche, se in due non si riesce a fare il giochino, si telefona ad una terza e ad una quarta franchigia, con monte salari piu’ tendente al nero che al rosso, e si imbastisce una babele mostruosa che, secondo regole che francamente non capiro’ mai, trasformano una trade impossibile in una trade che funziona.

Vi giro, nella versione originale, una chicca (che non sono io in versione notturna…) che, stante alla rete, e’ la trade piu’ monumentale mai imbastita nella storia:
Miami Got: Antoine Walker from Boston; Jason Williams, James Posey, and Andre Emmett from Memphis; the draft rights to Robert Duenas from New Orleans.
Boston Got: Qyntel Woods, the draft rights to Albert Miralles, and two second draft picks from Miami; Curtis Borchardt from Utah.
Memphis Got: Eddie Jones from Miami; Raul Lopez from Utah.
Utah Got: Greg Ostertag from Memphis.
New Orleans Got: Rasual Butler from Miami; Kirk Snyder from Utah.

Questo inno al Machiavelli, generato il 2 agosto del 2005, ha di fatto consentito a Miami di mettere attorno a Wade e Shaq un bel po’ di materiale da titolo, effettivamente poi vinto.

Di contro, per un 30enne perennemente All Star (anche se con la selezione di tiro di un Alpino in congedo al secondo giorno di raduno nazionale), Boston prese di fatto due seconde scelte (di cui una condizionale….e mi piacerebbe sapere la
condizione) e due giocatori che al momento svernano rispettivamente in Polonia ed in Francia.

La domanda facile facile e’ la seguente: che faccia devi indossare, se sei Danny Ainge, per presentarti alla stampa e giustificare una mattanza simile?

Basta una parola: flessibilita’… in poche parole, scommetto che oggi faro’ pena, perche’ domani saro’ bello vuoto di contratti, quindi pieno di soldi da spendere, e quando alcuni grossi nomi saranno in scadenza di contratto, io potro’ buttarmi a pesce.

Ammetto che in quegli anni ho insultato Ainge con ogni vocabolo possibile. Fortunatamente per i tifosi in biancoverde, io continuo a sparare vaccate, e lui fa benino il GM, visto che nel frattempo ha costruito una specie di capolavoro, vincendo un titolo e sfiorandone un secondo.

Gli scenari continuano a cambiare e, negli ultimi 2 anni, dopo il contratto “da consumarsi preferibilmente entro la data sul retro della confezione”, adesso abbiamo un nuovo esemplare da analizzare: il giocatore forte che fa arrivare il contratto a scadenza e decide di andare a giocare nel cortile dell’amichetto, oppure che si fa scambiare per andare a giocare con gli altri bambini bravi.

Intendiamoci: nell’era recente questa cosina e’ nata in parte  proprio a Boston, con l’acquisizione di Allen usata come lasciapassare per il vero Mammooth proveniente dal Minnesota.

Ma in quella circostanza (e, in epoca recentissima, nel caso frantuma-zebedei di Melo Anthony) le franchige di partenza hanno avuto la possibilita’ di orchestrare uno scambio che ha consentito di ottenere qualcosa.

Inutile ricordare chi invece e’ rimasta con il mega-cerino in mano questa estate……

Naturalmente questa nuova tipologia di giocatore e’ appannaggio di pochi eletti: mentre il “contrattone-yogurt” aveva il nome di giocatori di livello anche relativo, il “vado dove voglio” e’ generalmente una superstar che la squadra d’origine mai si sognerebbe di mollare, o almeno, mai si sognerebbe di non reinchiostrare ben prima della scadenza del contratto: oltre all’omone di Akron in oscena camicia a quadri che sposta il suo talento a South Beach-Florida, ci sono i vari Amare, Bosh, Melo, Deron Williams, Chris Paul, ma anche i Kobe di qualche anno fa (unico giocatore che mi risulti avere una clausola scritta di veto-trade, ovvero “non vado dove non voglio”).

E se non hai una dirigenza con le contro-sfere, tutta la tua campagna acquisti e cessioni e’ condizionata dalle paturnie del tuo gioiellino, e da uno snervante “vado, non vado” ” resto, non resto”.

Per chiudere, in questi anni abbiamo depotenziato gli agenti, nell’ultima stagione abbiamo decisamente scavalcato i GM.

Dovessero vincere gli Heat credo si potrebbe serenamente pensare di fare a meno degli allenatori (non me ne voglia il coach dal cognome Olandese). Sono rimasti sul tavolo solo i giocatori. E i proprietari, che nel frattempo perdono soldi….

A me pare un po’ poco.
Da vecchio brontolone, ricordo bene che neanche Jordan vinceva i titoli di solo talento. E non mi pare di vedere tanti Jordan in giro.

Non dovete telefonare a Montalbano per sapere per chi NON tifero’ quest’anno.
Statemi bene

9 thoughts on “AAA scambio GM con Capo Contabile

  1. Come al solito bell’articolo…ma continuerò a tifare per il mio beniamino James e per i miei Celtics…nonostante io sia completamente concorde che le regole che permettono questi “movimenti” mi facciano ribrezzo e rovinino l’equilibrio e la leggenda di questa NBA.

  2. bell’articolo, leggerlo è stato un piacere.

    Ci sarebbe da discutere sul pessimo meccanismo del buyout che permette di rimettere sul mercato giocatori anche dopo la trade-line.

  3. Decisamente d’accordo, e mio parere veramente un bellissimo articolo, molto divertente e veramente realistico..

    -Molto- Masochisticamente tempo fa ero andato a vedere il regolamento economico Nba, e devo ammettere che qui non serve solamente un gran capo contabile, ma l’intero corpo IFRS e una stuoia di master in accounting, come minimo…
    E’ veramente indecifrabile, ha tante di quelle categorie e sottovoci che potrebbero riempire dieci bibbie..

    Ormai la vera forza del gm è riuscire a equilibrare flessibilità economica con i giusti innesti, e oltre a spurs e thunder comprenderei anche Portland (se non ci fosse quel fattore S staremo parlando di una delle franchigie piu’ forti dell’ovest a mio parere, e comunque continuano a esserci -Gerald Wallace docet-!) sono le squadre da prendere esempio per le “right way to do”, dimostrando di saperci fare.

  4. Beh, kicco è un’istituzione su playitusa e francamente non ricordo un suo articolo che abbia deluso le mie aspettative…peraltro piuttosto alte quando si parla di lui!

    Il discorso che fa è molto condivisibile, per larghi tratti…io non riesco ad avere tutto questo acredine nei confronti degli Heat e di quello che è successo l’estate scorsa, ma su questo argomento si sa che ci sono due fazioni che si scontrano a muso duro senza venirsi incontro.

    Per il resto, ovvio che il salary cap e tutto il modo in cui funziona sia essenziale per un General Manager…ma non c’è solo quello, anzi. Tante volte la differenza la fanno proprio quei GM che riescono a piazzare dei colpi che nessuno si aspetta o che mostrano la pazienza e il coraggio necessari per puntare su determinati giocatori. Vedi Presti ad Oklahoma City, o lo staff di San Antonio, o Miami di qualche anno fa…e gli esempi potrebbero continuare.

  5. giusto per parlare, una riflessione sul discorso “gruppi di giocatori forti che si riuniscono nello stesso team”: a parte che a boston non si è riunito nessuno, ma ci sono state trade, non come i (presunti) accordi tra i vari stat, melo e paul o i tre amigos, ma un’altra cosa che si nota, leggendo a proposito anche l’articolo di We got game su mike d’antoni, che precisa come questi manipoli di star nba, dal talento indiscusso e (almeno penso) indiscutibile, sia che spesso gli heat e i knicks (e questa è la cosa che farà fare una brutta fine a d’antoni) non hanno un sistema di gioco collettivo, spesso è un isolamento a testa, e poi chi l’ha fatto meglio se ne prende un’altro; i tre di boston non penso l’abbiano mai fatto una volta in quattro stagioni, è questa la vera differenza tra i celtics e gli altri “gruppetti”, chi li paragona dovrebbe sempre ricordarsi questa fondamentale differenza: a boston si gioca di squadra, negli altri posti (almeno fin ora) NO.
    dopo questa lunga introduzione, ecco come la penso di questa realtà preoccupante delle riunioni di talento: tra 10 o 15 anni, chi di noi sarà ancora abbastanza sveglio da star dietro a blog e menate varie, potrà confermare (E SONO PRONTO A METTERCI LA MANO SUL FUOCO) che l’unico caso di “giocatori forti che si riuniscono sotto lo stesso stemma”, nonostante tutte le differenze che ho spiegato sopra, che ha funzionato, è stato quello dei celtics, perchè erano giocatori complementari, perfetti per stare insieme, oltre che giocatori che, proprio per questo, non sono mai stati “accentratori da 20 sec ad azione palla in mano”, dei loro precedenti team, nonostante ne fossero le stelle indiscusse… questa è la vera e fondamentale differenza tra KG e he got game e i due amigos che hanno portato il loro talento in florida… poi se dovessero arrivare altri casi di trii vincenti adesso non lo so ancora chiaramente, però per ora questa è l’unica verità, e sono sicuro che gli anni avvaloreranno maggiormente questa mia idea…
    ciao belli, continuate così, che ogni giorno mi rubate tempo al “lavoro” da praticante…

  6. Guarda Mirco, al di là del discorso che hai fatto e che comunque condivido c’è un dato da sottolineare: Garnett e Allen non si misero d’accordo con Pierce, o almeno non ufficialmente, e non si misero nemmeno d’accordo tra di loro. Semplicemente, sia Garnett (31 anni, non 26 come James quando è andato via da Cleveland) che Allen (32, non 27 o 28 come Bosh e Wade) si trovavano a fine carriera, e volevano vincere un anello che avrebbero meritato. E credo proprio che ne avessero tutto il diritto!

    Tra l’altro, come ricordi tu, sono approdati a Boston attraverso degli scambi, non attraverso la scadenza dei loro contratti…ma anche se vi fossero approdati da free agent non ci avrei visto niente di male. Qualche tifoso dei Timberwolves può forse rimproverare qualcosa a Garnett? O qualche tifoso di Seattle/Oklahoma City può fare lo stesso con Allen? Non direi proprio.

  7. Ringrazio tutti per i commenti.
    Credo di averlo gia’ scritto, e altrimenti l’ho sicuramente pensato, che quello che manca a Lebron per inaugurare una dinastia e’ una cosa sola: sposare un sistema di gioco, fidarsi di esso.
    Lo hanno fatto MJ prima di lui, lo ha fatto Kobe. Hanno fatto un passo indietro (e, per il loro ego, non deve essere stato un processo indolore) e si sono fidati di un sistema.
    A Lebron manca ancora questo passaggio fondamentale, ed il rischio e’ che si vedano anche quest’anno la finale in TV, perche’ ci sono i Celtics e perche’ ci sono i Bulls, ovvero due squadre con un piano gara che vada oltre l’immenso talento.
    Non avere mai chiesto a gran voce un coach con le palle quando era a Cleveland, ma solo giocatori, giocatori, giocatori ha fatto perdere tempo a lui e soldi alla franchigia (che peraltro si rifaceva con biglietti e merchandising).
    Essere andato a Miami senza garanzie tecniche, se si esclude la presenza di Wade (Bosh, a livello di superstar assolute, e’ solo il bambino che gioca perche’ il pallone e’ suo), lo espone al rischio di non vincere ancora per 1-2 stagioni.
    E fra 1-2 stagioni Boston magari non sarA’ piu’ da corsa, ma Chicago si. E abbiamo parlato solo dell’Est.
    Poi questi vincono a giugno, ed io devo masticare un bel po’ di fogli di carta dattiloscritta……
    Enjoy!

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