Il suo cognome non può che suscitare commenti ed è impossibile da dimenticare.

Ha parenti illustri, da Hall Of Fame, anche se non si tratta di quella di Springfield, ma di Cleveland in Ohio e un padre, non dotato da madre natura dello stesso talento di fratello e cugini, che ha deciso di seguire un’altra carriera, quella della palla a spicchi.

Questa scelta, forse, non ha dato pari “immortalità” a Stan Love, ma gli ha comunque permesso di diventare un All-american per Oregon, nonché la nona scelta assoluta dei Baltimore Bullets nel Draft 1971. La sua carriera professionistica, però, fu molto breve e si concluse nel 1975 dopo sole 4 stagioni disputate tra NBA ed ABA.

Il giovane Kevin, nato a Santa Monica (e non poteva essere altrimenti) nel 1988, non ha nemmeno lui il talento canoro dello zio. Per contro, quanto a comprensione del gioco e attitudine su un campo da basket, in famiglia è sicuro di non avere eguali.

2.08 per 120 chili, Love ha disputato un anno sfolgorante a UCLA (ma tu guarda!), che ha lasciato con 17.5 punti e 10.6 rimbalzi di media, dopo aver contribuito a portare i Bruins alla Final Four NCAA ed essersi guadagnato il titolo di giocatore dell’anno della Pac-10.

La quinta scelta assoluta del Draft 2008, i Grizzlies la spesero per lui, ma lo cedettero a Minnesota in una trade che coinvolse altri 7 giocatori. Dopo una stagione da rookie in cui totalizzò 29 doppie doppie (record di franchigia per un primo anno) piazzandosi al nono posto assoluto nella classifica dei rimbalzi, ci si attendeva tantissimo da lui al suo secondo anno, ma cominciò con una frattura al quarto metacarpo della mano sinistra occorsogli in una gara di pre-season, che gli fece perdere le prime 18 partite di regular season.

Al suo ritorno, l’impatto sulla stagione dei derelitti T-Wolves dello scorso anno fu ugualmente ottimo e, a riprova del suo fantastico istinto sotto i tabelloni, finì comunque al primo posto nella lega nella classifica rimbalzi sui 48 minuti (precedendo dunque anche Dwight Howard).

Al termine di un’estate che gli permise di mettersi al collo nientemeno che una medaglia di campione del mondo, guadagnata durante la trionfale spedizione USA in Turchia, Love si ritrovò investito di ulteriore fiducia al rientro in squadra per il training camp. Il management, infatti, decise di privarsi a metà luglio scorso di Al Jefferson, ceduto ai Jazz per Koufos e 2 prime scelte, creando di fatto spazio sotto il tabellone per il ragazzone californiano.

Il resto è storia recente. Storia di questa stagione 2010-2011, che ci racconta di un Kevin Love a tratti dominante e capace di una gara da 31 punti e 31 rimbalzi contro i New York Knicks il 12 novembre scorso, 19° giocatore della storia a riuscire nell’impresa di un 30+30 e unico tra i supermen moderni, dato che il precedente più recente risale al lontanissimo 1982: il grande Moses Malone in maglia Rockets.

Neppure Jefferson ha mai raggiunto il career high di 31 carambole, record di franchigia ai Wolves, ma ciò che stupisce è più che altro la voglia di buttarsi su tutto ciò che si muove sopra di lui, un istinto e una rapidità di testa e gambe che gli permette, quindi, molto spesso di battere a rimbalzo avversari ben più alti, più pesanti e più potenti fisicamente.

In questa stagione, come detto la terza da pro, parte in quintetto e le sue cifre sono aumentate in relazione anche al suo minutaggio. Coach Rambis, dopo varie prove di assestamento durante le quali anche l’impiego di Love, in termini di minuti sul parquet, non è stato sempre costante, è ormai orientato a schierare i suoi con un line-up atletico e veloce, formato da due guardie come Ridnour e Wesley Johnson, Beasley da ala piccola, Darko Milicic da centro e il 42 di Santa Monica nel ruolo di dinamica power forward.

Il roster, nomi alla mano, non sarebbe certo privo di spunti di interesse, ma a questi livelli, quello che potrebbe sembrare il suo pregio maggiore, rappresenta invece un difetto imperdonabile: è giovane e inesperto. Ridnour è il più “anziano” del team coi suoi 29 anni, tutti gli altri sono nati dopo l’inizio del 1985. Dalla panchina salgono Pekovic, Sebastian Telfair, Corey Brewer, Ellington, Webster, Koufos e Tolliver (quest’ultimo fermo dal 3 dicembre e ancora in lista infortunati).

Il punto debole più evidente dei Timberwolves, al momento in cui scriviamo, è senza dubbio la difesa. Il record infatti parla chiaro: solo 6 vittorie su 28 partite causa anche dei 109.9 punti subiti a sera (peggior squadra NBA), con gli avversari lasciati solo 3 volte sotto i 99.

Nemmeno il talento crescente di Kevin Love, nonostante la dominante presenza sotto le plance, è votato alla causa difensiva. Lo ha dimostrato anche sabato notte a Denver, in occasione dell’ennesima sconfitta stagionale dei suoi, quando ha dato ulteriore prova di essere una micidiale macchina da canestri ma non certo un intimidatore nella propria metà campo. Il lungo di Minnesota, comunque, si è reso protagonista di una prestazione degna di una delle prime dieci stelle della lega: 14/23 dal campo (5/5 da tre) e 10/12 ai liberi, per un totale di 43 punti segnati, career high, il tutto condito da 17 rimbalzi in 43 minuti.

Le sue medie, come detto in costante aumento rispetto alle scorse stagioni, sono davvero rilevanti: supera il 44% da tre e sfiora l’86% dalla lunetta, prende 15.7 rimbalzi a sera e segna 21.1 punti. In crescita anche gli assists e, di conseguenza le palle perse, ma nonostante i tanti minuti in più giocati, calano i falli a partita, segno di un maggior controllo del corpo, oltre ad una maggiore esperienza. Unico dato pressoché invariato rispetto alle sue medie-carriera è la percentuale dal campo, che si assesta comunque su un discreto 46.5, dato che assume ulteriore rilievo se si considera il fatto che il numero dei suoi tiri risulta quasi raddoppiato.

Niente spiagge dorate, niente surf, né California Girls: Kevin ha lasciato tutto questo allo zio e agli sfortunati cugini di secondo grado. Lui ha scelto il basket e le arene NBA all’interno delle quali, a prescindere dall’andamento dei Timberwolves, ha trasmesso buone vibrazioni (Good Vibrations) fin dalla prima palla a due. Di certo, nel dopo-Garnett, i tifosi di Minnesota non hanno avuto molte opportunità di divertirsi (Fun, fun, fun): Love, già oggi, può essere il perno centrale di una squadra giovane che ha indubbiamente enormi margini di miglioramento.

Dio solo sa (God Only Knows) quanto in alto potrà arrivare il giovane californiano… chissà, forse nel giro di un paio d’anni lo vedremo giocare di domenica nel weekend delle stelle: che dite, non sarebbe bello? (Wouldn’t it be nice?)

3 thoughts on “The power of Love

    • Salta molto per essere un bianco, ma il suo punto di forza è la capacità di prevedere la traiettoria della palla quando va a rimbalzo.

  1. E’ indiscutibilmente una delle sorprese della stagione…ma aveva iniziato a farsi notare già dall’anno scorso, e poi con i Mondiali. Che i Timberwolves abbiano trovato un degno sostituto di Garnett sotto canestro? Può darsi. L’importante è affiancargli altri giocatori di talento, per non lasciarselo scippare tra qualche anno, come è avvenuto con KG…

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