Monta Ellis, il go-to-guy dei Warriors

Quando una società langue nel limbo di una imbarazzante mediocrità a tal punto da diventare una delle principali barzellette nel mondo sportivo americano; quando è perdente nell’ immagine prima ancora che nei risultati perché incapace di costruire basi nel presente su cui fondare le prospettive del domani, allora l’ unica soluzione che possa davvero salvarla è quella di uno stravolgimento totale che possa rinnovarla nei principi e negli stimoli.

In questo senso, se i tifosi dei Warriors si aspettavano un’ estate di cambiamenti radicali nella speranza di porre fine ad un’ era che (ad eccezione del “WE BELIEVE”) è stata contraddistinta da delusioni e sconfitte, non si può dire che la loro attesa non sia stata ripagata.

Tutt’ altro, si è andati persino oltre se è vero che la rivoluzione che si è verificata all’ interno dell’ organizzazione è stata anche più viscerale e sorprendente di quanto onestamente si potesse prevedere.

Sostanzialmente erano due i grandi “splash”di mercato che i tifosi desideravano fossero portati a termine: la vendita della franchigia e l’ acquisto di un “4” di livello che sulla Baia mancava dai tempi “The Webb”. In realtà, gli splash sono stati tre, con il terzo che era già ampiamente nell’ aria poiché le prime due grandi novità del mercato (l’ acquisto della franchigia da parte di Joe Lacob e l’ arrivo di David Lee dai Knicks) avevano già fatto presagire che il restyling rischiava di essere ancora più profondo.

Due novità queste che rappresentavano quasi  un ripiego rispetto ad altri sviluppi desiderati dai tifosi: al posto di Lacob infatti i tifosi avrebbero desiderato Larry Ellison, e Lee, pur essendo un giocatore di valore, non era un top free-agent. Tuttavia, entrambi avevano in comune lo stesso spirito: mentalità, etica lavorativa, intensità.

Lacob poi, in particolare, provenendo da una franchigia come Boston, portava in dote un background culturale fatto di organizzazione dirigenziale e difensiva che, dal punto di vista tecnico,  era assolutamente incompatibile con la linea tecnica della società negli ultimi anni.

La sua mentalità, unita alle caratteristiche dei nuovi giocatori (non solo Lee) che già nelle loro scelte avevano dato la sensazione di un Larry Riley più maturo e slegato dalle logiche di Nelson, ha rappresentato perciò il presupposto fondamentale per il terzo grande cambiamento: il licenziamento di Don Nelson.

2) Fine di un’ era: “Cohan’s hollow presence”

Raramente la vendita di una franchigia ha coinvolto emotivamente i propri tifosi come quella dei Warriors. I giorni dell’ asta societaria sono stati vissuti come un conto alla rovescia in cui più si avvicinava il giorno dell’abbandono da parte di Cohan, più si avvicinava per i tifosi il giorno della liberazione da un incubo.

La gestione di Cohan infatti è stata sempre considerata dai tifosi come una sorta di maledizione, il principale male di una società che negli ultimi anni era arrivata al punto di contendere ai Clippers il poco edificante titolo di peggior organizzazione della Lega.

A volte però, per rinascere è necessario toccare il fondo, e Lacob potrebbe rappresentare proprio l’ uomo della “redenzione”, della rinascita di una franchigia che prima ancora che diventare vincente sul campo deve diventarlo sul piano dirigenziale e dell’ immagine.

Lacob per ora, è considerato sicuramente l’ uomo della liberazione dal duo Cohan-Nelson troppo spesso indicato da tutti come il primo ostacolo nel tentativo di dare un futuro ottimistico e credibile alla società, ma soprattutto da Cohan che in quindici anni di gestione ha dato il meglio di sé per creare un clima di instabilità e inadeguatezza a tutti i livelli.

15 anni di disfunzionalità: l’ epoca di Cohan è stata questo, considerata nella sua gestione tecnica e nel rapporto con i tifosi.

Dal punto di vista tecnico, il fatto che i Warriors abbiano raggiunto i play-offs una sola volta (per quanto memorabile) in quindici lunghi e patetici anni è solo il logico corollario di una gestione a dir poco infelice in cui le decisioni sbagliate si sono susseguite a catena provocando instabilità e insicurezza tra giocatori, allenatori e dirigenti.

Sempre la scelta sbagliata al momento sbagliato, la totale incapacità di dare organicità e futuribilità ad un progetto, soprattutto una personalità debole, priva di autorità e che inevitabilmente ha portato a vuoti di potere favorendo guerre intestine tra le alte cariche dirigenziali: Chris Cohan verrà probabilmente ricordato così, come una figura vuota, inconsistente, The Cohan’s hollow presence”.

And that’s the way I’ll remember Chris Cohan-a man who was around but never really there” (Matt Steinmetz)

La mancanza di leadership e affidabilità si è tradotta poi in disastrosa relazione diplomatica con i tifosi che, nonostante la loro incrollabile dedizione, non hanno mai avuto la sensazione di un proprietario legato profondamente alla franchigia e al suo pubblico.

Cohan non solo non è mai riuscito a trattenere i giocatori franchigia che pure sono circolati sulla Baia (il suo stesso esordio è stato segnato dalla partenza di Chris Webber) apparendo sempre più interessato a salvaguardare il portafoglio che a costruire un team vincente (vedi la stessa partenza del Barone nel 2008), ma soprattutto non ha saputo mostrare la giusta  e doverosa riconoscenza nei confronti dei tifosi, ovvero l’ unico e prezioso patrimonio di cui la franchigia ha potuto godere con continuità nel corso di questi anni.

Da questo punto di vista, il riferimento neanche tanto velato è all’ All Star Game del 2000 svoltosi proprio ad Oakland in cui i soliti 20.000 tifosi fischiarono sonoramente Cohan che li aveva precedentemente minacciati di perdere i loro abbonamenti se non avessero accettato di rinnovarli per seguire la squadra a San Josè dove i Warriors si sarebbero trasferiti per un anno causa ristrutturazione del Coliseum. Tale mancanza di rispetto verso un pubblico così devoto portò inevitabilmente alla totale rottura diplomatica, ovviamente mai più risanata.

Tra l’ altro, anche in occasione della vendita della franchigia, Cohan non ha comunque perso l’ occasione per dare un’ ultima e poco edificante prova di sé: sembrava scontato infatti che la franchigia fosse acquistata da Larry Ellison, owner della Oracle e uno degli uomini più ricchi al mondo (tanto per intendersi, uno che probabilmente si sarebbe fatto poco intimorire dalla luxury tax…), la cui offerta era decisamente quella più generosa.

Cohan ha deciso di “stupire” una volta di più, inscenando l’ ennesimo colpo a sorpresa vendendo a Joe Lacob (450 mln$, comunque cifra record per la vendita di una franchigia), owner minoritario dei Boston Celtics.

A Lacob ora si chiederà questo: personalità e chiarezza. Si chiederà innanzitutto di dare ordine e gerarchia all’ interno della dirigenza facendo sì che ogni ruolo sia rispettato; si richiederà la capacità di saper prendere decisioni che abbiano una coerenza e una progettualità.

A Lacob poi spetterà il compito di ricompattare il rapporto con i tifosi, rispettandoli nel loro amore per la squadra e ripagandoli per lo meno con un atteggiamento di responsabilità:

“We’re going to have an organization with very direct lines of communication. I’m a very direct guy”

E di tale attitudine Lacob ne ha dato subito tangibile prova rimuovendo Don Nelson, la cui personalità ingombrante ai limiti dell’ egocentrico sarebbe stata ovviamente incompatibile con la volontà di creare una struttura dirigenziale in cui le gerarchie vengano rispettate:

“Well, you’ve heard the expression: the buck stops here. That’s not going to be permitted going forward. We’re just not going to have…that kind of tumultuous behavior”

In secondo luogo, l’ humus culturale che Lacob ha assorbito ai Celtics è quello del “Boston Pride” basato sulla grinta, sulla combattività, sullo sforzo difensivo è assolutamente antitetico al basket libertino proposto da Nellie privo di qualsiasi sistema difensivo e imperniato invece sul run&gun più esasperato.

Il nuovo owner insomma porterà questo tipo di mentalità: meno spettacolo, meno basket elettrizzante e divertente, ma un gioco più “bread and butter”, basato sull’intensità, sull’energia, sulla voglia di lottare  e sporcarsi le mani perché queste sono le basi per ricostruire e ritornare ad alti livelli, e perché questo è probabilmente il modo migliore per ricominciare a ricostruire il rapporto con i tifosi ripangandoli per la loro fede.

Una filosofia semplice, basilare ma precisa e consistente, proprio quello che manca alla franchigie perdenti, proprio quello che è quasi sempre mancato ai Warriors.

E’ già un buon punto di partenza…

3) “General” Lee

Keith Smart (nuovo coach dei Warriors per la stagione ventura) dopo pochi giorni di training camp ha già ufficializzato quello che sarà (ed era facilmente prevedibile) il quintetto base della squadra  per il prossimo anno: Curry, Ellis, (Dorrell) Wright, Lee, Biedrins.

Lee e i Warriors: un binomio nuovo, intrigante e ricco di novità per quello che giocatore e squadra possono darsi reciprocamente. Probabilmente l’ unione tra i Warriors e l’ ex ala-grande dei Knicks  non ha nulla di predestinato perchè né Lee trasferendosi sulla Baia ritorna nella sua terra natia, né d’ altra parte il giocatore stesso era probabilmente la primissima scelta tra i free-agent.

Tuttavia, l’ arrivo di Lee sulla Baia ha un precedente curioso: proprio alla Oracle Arena, Lee realizzò la sua miglior prestazione balistica di sempre (37p, 20r, 10ass) che lo portò ad essere ribattezzato dai compagni di squadra “General” ispirandosi alla macchina arancione resa famosa da Bo e Luke in “Hazzard”, telefilm cult degli anni ’80. Il giocatore rievoca infatti i tratti principali della macchina del telefilm: il colore rosso dei suoi capelli, ma soprattutto il fatto di essere rombante e adrenalinico.

Ovvio che Lee sia stato il colpo principale del mercato estivo della società che finalmente è riuscita ad acquistare un’ ala grande di valore e “pura” che ormai mancava da anni.

Nelle scorse stagioni erano circolati diversi nomi importanti (Brand, Garnett), persino Stoudemire sembrava davvero sul punto di approdare sulla Baia ma alla fin fine ha sempre prevalso la cattiva reputazione della franchigia e di conseguenza il buon senso dei giocatori: difficile impegnarsi a lunga scadenza con un’ organizzazione che non dà seriamente la sensazione di essere credibile e competitiva.

Stavolta invece Riley ha davvero piazzato un colpo interessante, probabilmente favorito anche dal fatto che, con tutti i pezzi da novanta disponibili sul mercato, soldi e attenzioni delle grandi squadre (o dei mercati più appetibili) erano rivolti altrove.

L’ acquisto di David Lee è ricco di sfumature, persino controverso perché indubbiamente le doti che il giocatore porta alla squadra si contrappongono ad altri aspetti più oscuri  e sospetti del suo gioco.

Anche se il termine può essere ingeneroso nei confronti di un “fighter” come Lee, è difficile negare che il suo acquisto sia stato comunque una manovra di “ripiego” per i Warriors dato che il suo nome era indubbiamente di secondo piano rispetto agli altri grossi calibri dell’ ultimo mercato (Stoudemire, Bosh, Boozer, per non citarne altri…); secondariamente, Lee riflette solo in parte il prototipo dell’ ala-grande che i Warriors ricercavano da anni.

In un sistema offensivo estremamente perimetrale che storicamente ha esasperare le soluzioni degli esterni, dove il “4” è un finto lungo che ama soprattutto tirare da fuori  e con un centro come Biedrins che è praticamente alle aste in attacco, la principale esigenza era quella di un altro lungo che garantisse punti nel pitturato e aiutasse lo stesso lettone sotto i tabelloni.

Il nuovo arrivo rappresenta una soluzione intermedia a queste necessità non essendo né un attaccante puro né uno specialista difensivo. Nel 2009-10 Lee si è imposto come una delle più continue “20p+10r machine” della Lega, ma come spesso accade le statistiche vanno interpretate in relazione a precisi contesti tecnici.

Lee nel corso della sua carriera è costantemente migliorato come attaccante, approfondendo sempre di più il suo arsenale offensivo tanto che se all’ inizio i punti arrivavano soprattutto su scarichi dei compagni o dopo rimbalzo offensivo, nell’ ultimo anno invece anche il suo tiro dalla media distanza ha raggiunto livelli di più che discreta affidabilità: la sua pericolosità nasce quindi da situazioni dinamiche dove il giocatore sfrutta la sua energia e reattività ma rimane ancora lontano dall’ essere un attaccante che costruisce le sue iniziative sulla base del talento puro.

Il suo 1c1, in particolare spalle a canestro, è ancora tutto da sviluppare ed è proprio questo l’ aspetto tecnico di cui i Warriors avrebbero più bisogno in attacco. Lo stesso sistema di D’Antoni ha sicuramente contribuito a gonfiare le statistiche di Lee, agevolato ulteriormente dal fatto di giocare comunque in una situazione perdente e in una squadra dove il talento puro (a parte il Gallo e poco altro..) latitava.

Tale situazione ha chiaramente aiutato anche i suoi numeri a rimbalzo: negli ultimi 4 anni da PRO il giocatore non è mai sceso sotto i 9 rimbalzi di media (addirittura 11.7 nel 2009/10) il che comunque conferma il suo fiuto per questo aspetto del gioco, e la sua energia. Questi numeri diventano ancora più indicativi se si considera che il suo atletismo è buono ma non eccezionale e che a stento supera i 2m05.

Tuttavia, anche in questo caso, non bisogna sottovalutare che lo stile di D’Antoni ha contribuito a gonfiare pure questo lato del suo gioco e che il giocatore, essendo spesso impiegato da unico lungo, era di fatto il solo Knicks ad andare a rimbalzo:

“Non c’è dubbio che le medie individuali di David siano gonfiate dall’ ennesima stagione perdente per noi e dalla mancanza di altri forti rimbalzisti in squadra, ma è anche vero che 53 doppie – doppie confezionate giocando spesso fuori ruolo, da 5, invece che nella sua posizione naturale di ala forte, non possono essere ignorate” (Mike D’Antoni)

53 doppie-doppie non possono essere ignorate”, appunto, come a dire che se da un lato il gioco e la statistiche di Lee possono contenere delle precise controindicazioni, e anche vero che il giocatore porta in dote tante caratteristiche utili e funzionale al gioco dei Warriors.

Insomma, Lee non sarà un fuoriclasse o un “franchise-player”, ma non per questo il suo acquisto sarà necessariamente un buco nell’acqua o i soldi investiti su di lui (80mln per 5 anni, certe brutte abitudini sulla Baia permangono) saranno per forza soldi buttati via.

Innanzitutto Lee porta tanta energia e aggressività non solo a rimbalzo, dove i Warriors sono stati una delle peggiori squadre degli ultimi anni, ma più in generale nel gioco a tutto campo e come attitudine nel complesso, intesa come voglia di lottare, di tuffarsi, di combattere.

Lee in pratica porterà quella “work ethic” che troppo spesso sono sembrate latitare tra i giocatori della franchigia; mentalità in campo ma anche fuori dal campo per la sua voglia di migliorare lavorando sui difetti (anche questo dovrebbe essere un evidente upgrade dopo le tutte le teste calde che sono circolate per lo spogliatoio).

In chiave tecnica invece, i Warriors acquisiscono finalmente un rimbalzista di qualità da affiancare a Biedrins. Se da un lato le statistiche di Lee sono state esasperate dalla pochezza di New York, è anche vero che ai Warriors potrà sfruttare situazioni tecniche nuove e più favorevoli.

La certezza infatti che Nelson non sarà per la prossima stagione l’ allenatore dei Warriors già a priori elimina una eventualità tattica che rischiava seriamente di verificarsi, vedere cioè Lee impiegato da unico lungo come ai Knicks. Questo non significa che tale situazione non possa verificarsi con Smart in particolari situazioni ma almeno in partenza (e stando alla dichiarazioni dell’ allenatore stesso), Lee dovrebbe finalmente ricoprire quello che è il suo ruolo naturale di “4”.

Inoltre, l’ opportunità di giocare a fianco di un altro lungo di ruolo (Beans appunto) gli consentirà di non essere più abbandonato a sé stesso sotto i tabelloni. Discorso analogo per Biedrins che finalmente potrà giocare in coppia con ala grande naturale che ai Warriors gli è successo solo e parzialmente con Troy Murphy.

Difensivamente le cose per Lee dovrebbero migliorare. L’ ex-Knicks non è mai stato un grande difensore puro, un po’ per limiti personali, ma anche perché penalizzato dal fatto di essere spesso impiegato fuori ruolo: il suo impiego da “4” nei Warriors dovrebbe portarlo a marcare giocatori più abbordabili, almeno in senso fisico.

Aggiungiamo che alcune (solo alcune…) tra le migliori ali grandi dell’Ovest si sono trasferite ad Est (Stoudemire a New York e Boozer a Chicago), il che in qualche modo “alleggerirà” il suo lavoro. Di più: durante l’ estate Riley ha portato sulla Baia esterni atletici come Dorrell Wright, Carney e altri lunghi come Amundson e il rookie Ekpeh Udoh, tutti giocatori reattivi che dovrebbero dare a Lee (e Biedrins) molta più man forte di quanta Lee ne abbia mai ricevuta nella Grande Mela.

Anche in attacco il contributo di Lee dovrebbe essere sostanzioso. Smart, pur variandoli leggermente, dovrebbe conservare alcuni principi dell’ attacco di Nelson: ricerca del gioco in velocità, transizione rapida, contropiede, tutti aspetti che Lee ha ben conosciuto in un sistema molto simile come quello di D’Antoni. Il suo periodo di adattamento non dovrebbe essere quindi complicato.

Anzi proprio alcune sue caratteristiche sono perfettamente funzionali a questo tipo di impostazione: la sua capacità di andare a rimbalzo e di correre per il campo riempiendo le corsie del contropiede.

Lee inoltre è un giocatore che possiede reattività mentale e mani forte per concludere sugli scarichi dei compagni tagliando lungo la linea di fondo o provenendo in rimorchio dal centro, e rappresenta perciò un ricevitore ideale per guardie che sappiano giocare situazioni di pick&roll o comunque sappiano battere i raddoppi con tempestivi scarichi. Anche in questo senso, l’ upgrade tecnico rispetto ai Knicks dovrebbe essere sensibile.

Gira insistentemente voce che subito dopo lo scambio che lo ha portato sulla Baia, Lee abbia istantaneamente telefonato a Step Curry per chiedergli: “Sei pronto a giocare orde di pick&roll con me?

Il nuovo lungo dei Warriors, infatti, ama giocare a due e ai Knicks era solito farlo con Chris Duhon, unanimemente riconosciuto come il peggior play dell’ NBA nella lettura del gioco e nel ball-handling; i pick&roll tra Lee e Duhon, per quanto permettessero al lungo di ottenere molti punti facili (anche per l’ insistenza con cui quel tipo di soluzione era ricercata) in realtà era tra i più scadenti della Lega per qualità nell’ esecuzione.

Ora, ai Warriors, Lee avrà la possibilità di giocare a fianco di “Too Step” Curry, una delle point-guard emergenti della Lega, che già nel suo anno da rookie ha sciorinato doti passatorie in qualsiasi tipo di situazione (pick&roll, scarico, apertura contropiede) addirittura sensazionali.

Lo stesso Ellis nel corso dell’ ultima annata ha dimostrato progressi nella capacità di battere i raddoppi o gli aiuti difensivi trovando l’ uomo libero. Inoltre la stessa presenza di due micidiali talenti offensivi come Curry ed Ellis garantirà ampi margini di manovra a Lee che di conseguenza avrà spazio per punire o con il suo tiro dalla media o le incursioni in mezzo all’ area. La stessa coesistenza tecnica con Biedrins non dovrebbe presentare particolari ostacoli: l’ ex-Knicks preferisce decisamente giocare fronte a canestro partendo dai 5-6 metri, il lettone invece essendo totalmente privo di tiro da fuori preferisce stazionare nei pressi del canestro.

Da questo punto di vista, le premesse tecniche per permettere a Lee di confermare i numeri della stagione scorsa ci sono tutte; probabilmente non lo faranno diventare un giocatore franchigia o l’ uomo del decisivo salto di qualità ma dovrebbe essere sufficienti per renderlo una importante addizione in una prospettiva di crescita e miglioramento.

Tra l’ altro il nome di Lee si inserisce perfettamente anche in senso alfabetico, RUN D(avid)-M(onta)-C(urry), un nome che ai tifosi dei Warriors fa sempre un certo effetto

4) It’s all about getting defensive stops

E’ una legge questa da cui difficilmente si può prescindere nell’ NBA e che quasi sempre è la prerogativa irrinunciabile di una squadra per lo meno solida e credibile. I Warriors (Nelson..) hanno provato a sfatarla ma fallendo miseramente, soprattutto negli ultimi due anni dove il talento offensivo era buono ma non esplosivo a tal punto da colmare profonde lacune nella propria metà campo.

La questione difensiva e dei rimbalzi è apparsa fin dall’ inizio dell’ estate come il filo rosso che avrebbe caratterizzato tutto il mercato dei Warriors, anzi probabilmente anche prima dell’ ultima estate se è vero che fin da Febbraio Larry Riley aveva deciso di aggredire il mercato per acquistare un’ ala grande con precise credenziali. Due sono stati i protagonisti principali del mercato dei Warriors: Larry Riley e Joe Lacob.

I due hanno agito da prospettive diverse: Riley da quella di g.m che già conosceva la squadra e i relativi limiti, Lacob invece ha cercato di traslare il background culturale appreso ai Celtics. Due angolazioni diverse ma con un comune denominatore: la consapevolezza di dover intervenire sul piano difensivo, migliorando la squadra a rimbalzo ma anche nell’ intensità e nella voglia di lottare.

Obbiettivo questo che ha portato con sé l’ inevitabile licenziamento di Don Nelson, la prima mossa importante con cui Lacob ha fatto ampiamente capire quanto sia risoluto nel dare a questa  franchigia un’ immagine e un’ impostazione completamente nuova.

Già l’ acquisto di David Lee (avvenuto prima del cambio di proprietà) faceva presagire che qualche cambiamento radicale era in atto: Lee infatti è un “4 ” rimbalzista  e dinamico ma ben lontato dall’ essere il prototipo di ala grande prediletto da Nelson, ovvero con spiccata propensione perimetrale.

Anche lo scambio che aveva portato Maggette ai Bucks in cambio di Bell (e Gazduric) non era dettato solo dallla volontà di scaricare il contratto oneroso di Mags ma anche dalla necessità di acquistare un ottimo esterno difensivo come l’ ex guardia di Treviso.

Di più: Riley ha deciso di non rifirmare Morrow, grande tiratore ma tutt’ altro che tale in difesa, avendo preferito puntare in precedenza su Dorrel Wright, attaccante probabilmente sottovalutato ma noto come eccellente difensore perimetrale.

Tutte mosse quindi che avevano già dato la sensazione di un Riley più maturo, più indipendente e slegato dalla filosofia di Nelson nel tentativo di traghettare la squadra verso una dimensione tecnica diversa dal passato recente. Le mosse di Riley non fatto altro poi che anticipare la decisione di Lacob: Nelson out Smart in, fine di un’ era, inizio di un’ altra.

La linea di Lacob ha trovato conferma in tutte le altre scelte di mercato di Riley: Watson non è stato riconfermato (Bell è più solido dell’ attuale giocatore dei Bulls come difensore puro sulla palla), sono stati firmati Carney e Amundson.

In generale, quindi, le decisioni combinate di Riley e Lacob hanno realizzato un repulisti della squadra sul piano tecnico rinunciando a giocatori che lo scorso anno nel sistema di Nelson si erano messi in luce per le loro doti balistiche e sostituendoli con giocatori forse meno dotati in attacco ma che porteranno intensità, energia, sforzo difensivo. Ovvio che comunque la sferzata decisiva sia stata data da Lacob che rimuovendo Nelson, ha chiarito in modo inequivocabile quali saranno i principi che guideranno la squadra per la prossima stagione: mentalità difensiva, tentativo di dare un sistema alla squadra, far crescere i giovani. La scelta di Smart dovrebbe rispondere a questo tipo di politica societaria.

D’ altra parte, era ovvio che lo stile di Nelson sarebbe stato del tutto inorganico a questo programma. Nel corso dell’ ultimo biennio, “Nellie” si è dimostrato inadatto ad allenare una squadra priva di ambizioni nel presente e che avrebbe dovuto lavorare invece nella prospettiva di una crescita futura: in questo senso ha confermato certe tendenze già emerse nel corso della sua carriera, e Lacob, con la decisioni di sostituirlo, ha probabilmente soddisfatto il desiderio di tanti tifosi.

Nelson infatti, ha dato sempre la sensazione di essere molto più interessato ad ottenere qualche misera vittoria nel presente (soprattutto con l’ avvicinarsi del record NBA per vittorie come capo allenatore) piuttosto che a sviluppare un progetto futuribile: non ha saputo creare un gioco corale in attacco affidandolo invece alle scorribande personali e ai continui isolamenti in 1c1, tanto meno ha lavorato sulla difesa, il suo atteggiamento verso i giovani è  stato incostante a tal punto che il rapporto con alcuni di essi (Randolph, Biedrins, Ellis) è diventato davvero precario.

Non che questo sia un atto di ingratitudine verso un personaggio che, per quanto controverso, ha dato comunque un contributo importante e in tempi non sospetti alla franchigia: ha scoperto giocatori, altri li ha lanciati, è stato anche lui uno degli artefici del “WE BELIEVE”. Semplicemente non l’ uomo giusto in questa tipo di situazione.

Difficile dire se Smart sia la soluzione ideale per la panchina anche perché i suoi precedenti non sono ne così numerosi ne tanto meno incoraggianti per inquadrarlo con precisione nella sua filosofia tecnica.

Di sicuro è un delfino di Nelson da cui riprende precisi principi offensivi come il gioco in velocità e in transizione, la predilezione per lunghi atletici e che corrono bene per il campo, la ricerca di possibili miss-match (la scelta di un’ ala piccola con la taglia di Dorrel Wright e la volontà di provare ad impiegare Brendan Wright da “3” rispondono a questa logica).

Allo stesso tempo, Smart presenta alcune diversità rispetto a Nellie che dovrebbero rappresentare dei presupposti interessanti per la prossima stagione soddisfando perciò la linea di Lacob.

Innanzitutto Smart è molto più attento alla fase difensiva tanto che negli ultimi due anni Nelson gliene aveva affidato la preparazione: ovvio che la statistiche difensive accumulate dalla squadra in questo fragente facciano sorridere ma il roster (e gli infortuni che lo hanno flagellato) era tutt’altro che idoneo a creare un sistema solido.

Ora gli attuali giocatori dei Warriors dovrebbero aiutare di più la filosofia del nuovo coach, e il fatto stesso di aver ufficializzato un quintetto con due lunghi di ruolo conferma la distanza dalla mentalità di Nelson e nel tentativo di proteggere di più i tabelloni.

Gli stessi Bell, Wright, Carney dovrebbero migliorare sensibilmente la pressione difensiva sul perimetro basata questa volta su marcature singole e rotazioni più solide, scommettendo meno quindi sulla palla rubata, e facendo iniziare da ciò ripartenze veloci.

Anche in attacco si dovrebbero intravvedere un gioco più corale e organico, un “sistema” che sostituisca il classico attacco di Nelson imperniato sulla ricerca ossessiva e stucchevole di isolamenti in 1c1. Già i primi allenamenti hanno esibito una certa predispozione dei giocatori a coinvolgersi reciprocamente: “These guys are willing to pass; I was really impressed that they were trying to move the basketball and try to make the extra pass that got someone an open shot” (Keith Smart); “In the past we were so talented on offense that we just stood and watched someone go one-o-one. Now, all five guys want to pass and make plays, so it’s even more difficult” (Step Curry)”.

Smart inoltre dovrà rappresentare una svolta ed un superamento del passato anche e soprattutto nella misura in cui riuscirà a recuperare valorizzandolo il rapporto con il nucleo giovane della squadra.

In questo senso, la sua profonda esperienza di assistente allenatore gli ha permesso di sviluppare una precisa attidudine nel colloquio e nella crescita tecnica dei giocatori: ex-Warriors come Morrow, Azubuike, Watson si sono sviluppati proprio la sua tutela tecnica e personale. Costanza: dovrà essere necessariemente questo l’ atteggiamento del nuovo allenatore verso la “young core” del team che spesso invece è stato penalizzato dalla riluttanza di Nelson nel concedere spazio e fiducia ai giocatori più giovani.

Smart al contrario è noto invece come un motivatore, un “player-coach”, ovvero un allenatore cha sa parlare con i giocatori, capirli nelle loro difficoltà e nelle loro esigenze, in pratica un persona disposta alla conversazione e al confronto diretto proprio come Lacob vuole esserlo nei confronti dei tifosi.

Tutte queste novità forse non saranno ancora abbastanza per raggiungere i play-offs in una Western Conference che tuttavia sulla carta potrebbe anche non essere così inaccessibile come negli scorsi anni, ma almeno per ora tutto sembra avere finalmente una logica all’ interno della franchigia. Anche questa sarebbe una svolta importante….

3 thoughts on “Golden State Warriors: Preview

  1. Bene il cambio di presidente.
    Una delle poche cose lineari che ha svolto Cohan è il caso Barone. A mio avviso giusta la decisione presa.
    Per quanto riguarda Nelson su alcune parti non mi trovo d’accordo, ma questo è un altro discorso. Allontanamento o meno era nell’aria lasciare la panchina. Giusto andare con Keith Smart che può continuare il lavoro del suo predecessore che ha lasciato in dote prospetti interessanti non che l’acquisto Lee, che avrebbe fatto bene anche con Nelson.

    Lee:

    L’acquisto Lee si può rivelare interessante e non è detto che non sia questa l’ala grande utile per i Warriors. Soprattutto con la presenza di Biedrins.
    Non è lui la stella o il centro che deve prendersi il peso della franchigia. Lui è quel sudore e quei rimbalzi che mancavano sotto i tabelloni. Non è il 5, ma all’opportunità può coesistere con un 5 o divenirlo per abbassare (anche solo Biedrins a 5).
    Sotto ora sono diventati interessanti e meno sprovveduti: Biedrins-Lee-Udoh(peccato per l’infortunio, curioso di vederlo)-B.Whight(sullo spot 3 non mi pronuncio, non saprei. Già che riesca a fare un anno fatto bene è già notizia. 4)Gadzuric.
    Stoudamire-Bosh-Boozer per i Warriors difficile mettere le mani sia per l’appeal ma soprattutto perchè rientravano nel discorso James. Infatti NYK-Bulls-Miami.
    Lee ha chiamato Curry chiedendogli se è pronto? Lee ha fatto bingo con Curry(e non solo Lee). Cmq può far bene e rimanere congeniale.

    Su Curry e Ellis andiamo avanti.

    Il mercato,personalmente, presenta un neo. Non tanto per la scelta di andare su Wright quanto potevi tenere (4 mil. Nets) anche Morrow. Il salary lo permetteva.
    Non un buon difensore?
    Giovane e con margini di miglioramento. Un tiro letale e un buon comportamento in campo. Tutte cose non semplici da trovare e in più mettici l’età e il poter ricoprire due ruoli. Da tenere.

    Possono far tutto, anche lottare per i p.o. Come bene può fare Keith Smart.

    Articolo lungo, ben scritto e chiaro nei pensieri dell’autore. Complimenti.

  2. La stagione si presenta finalmente interessante per i Warriors.
    Nuovo coach, un po’ più stabile mentalmente, nuovo spirito e un giocatore come Lee, il miglior lungo della NBA per giocare il run and gun: corre, piglia rimbalzi e tira da fuori.

    Mi aspetto minimo 41W !!

    • Non è che voglia difendere gli ultimi Warriors ma lo scorso anno hanno avuto il 2° record nella storia della NBA come numero di infortuni (battuto solo dai Raptors degli anni 90) cosa mai segnalata da nessn commentatore e questo certo ha contribuito a peggiorare la situazione. Quest’anno le cose sono iniziate subito … alla stessa maniera, Udoh 1^ scelta infortunio alla mano fuori 6 mesi! Lee,appena andato ai Warriors, al primo allenamento del team USA si infotunava al dito, niente di grave ma ha dovuto rinunciare ai mondiali; adesso alla 2^ partita, infortunio alla caviglia per Curry, l’unico rimasto sano quasi tutto l’anno passato.
      Un altro dettaglio poi sulla vendita dei Golden State, non è stato il precedente proprietario a vendere direttamente la squadra ma una società specializzata in queste cose che ha venduto al compratore più idoneo.
      Vittorio

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