Mike Miller, uomo chiave dei nuovi Heat

Su Playitusa si riconosce subito il periodo in cui la stagione NBA è alle porte. Le preview sulle squadre si succedono (e anche quest’anno tutte e 30 le franchigie avranno un loro spazio), gli argomenti di discussione non mancano e, una volta esaurite tutte o quasi le discussioni sul mercato, si inizia a parlare di quello che vedremo in campo.

Anche in questo 2010-2011 non mancheranno le grandi partite, le giocate spettacolari e le grandi rivalità…lo possiamo dire con certezza, prima ancora di vedere alzata la prima palla a due.

Tra una Miami rinata, una Los Angeles alla ricerca del three-peat, ed un nutrito gruppo di pretendenti alle loro spalle, la caccia al titolo si rivelerà ancora una volta entusiasmante.

Questo per quanto riguarda le squadre. In quest’articolo, invece, ci proponiamo di analizzare cinque singoli giocatori, chiamati a mostrare oggi più che mai le loro qualità. Cinque giocatori che sono stati scelti dalle rispettive squadre per fare un passo in avanti, per avvicinarsi o addirittura per raggiungere le squadre più forti della Lega.

Come si apprestano questi ragazzi ad affrontare la sfida che hanno di fronte? Perchè sono stati scelti? Ma soprattutto, quante possibilità hanno di dare alla propria franchigia ciò che quest’ultima si aspettà da loro? Andiamoli a scoprire, partendo da…

Amar’e Stoudemire

Tra i grandi nomi del mercato 2010 c’era anche quello di Amar’e Stoudemire. In uscita dai Phoenix Suns, il lungo 27enne non ha resistito al fascino della Grande Mela, scegliendo di tornare ad essere allenato da Mike D’Antoni.

In una estate in cui James e Bosh sono stati criticati per aver unito le forze con Wade, il nuovo capitano dei Knicks ha scelto un’altra strada. Niente superstar in squadra, niente compagni affermati: l’obiettivo è compiere una missione, quella di riportare New York sul gradino più alto del basket americano.

Ormai sono 37 anni che i tifosi aspettano di vincere il titolo, e nonostante le critiche spietate rivolte dagli stessi, nell’ultimo decennio, a dirigenze, allenatori e giocatori, il sostegno ai loro beniamini è rimasto sempre lo stesso. Attaccati alla propria maglia, con un calore che poche altre tifoserie hanno.

Amar’è questo lo sa, così come sa che i Knicks hanno possibilità concrete di rinforzarsi da qui ai prossimi mesi. Ha accettato di ricoprire il ruolo di leader e di caricarsi la squadra sulle spalle, invece di altre opzioni più comode ma certamente meno affascinanti.

D’altronde, non si può dire che il ragazzo abbia avuto una vita semplice o priva di ostacoli: suo padre morì a 12 anni, mentre la madre ha avuto seri problemi con la giustizia. Come avvenuto per tanti altri ragazzi, il basket ha rappresentato per lui l’occasione di conseguire una serenità personale e la sicurezza economica.

Insomma, la sua è stata una scelta coraggiosa. Lo stesso D’Antoni ne ha parlato, affermando senza mezzi termini che “ci vogliono grandi attributi per fare quello che ha fatto lui. Ero sicuro che non si sarebbe tirato indietro di fronte al nostro progetto, e infatti eccolo qua. Da lui ci aspettiamo una grande mano”.

L’obiettivo dichiarato sono i play-off, cui New York manca dal 2004. Tutti aspettano al varco questa franchigia, i tifosi del Garden in primis…Amar’e sopporterà la pressione?

Mike Miller

Sappiamo benissimo su chi verrà focalizzata l’attenzione in quel di Miami, e non c’è bisogno di nominarvi i componenti del trio più chiacchierato dell’estate.

Ma il mercato degli Heat non si è fermato lì. Tre stelle non bastano a vincere un titolo, e spesso è l’apporto dei giocatori cosiddetti “di complemento” a risultare decisivo.

Pat Riley questo lo sa, e infatti i suoi sforzi hanno condotto all’acquisto di solidi elementi come Zydrunas Ilgauskas, Eddie House, Juwan Howard ma, soprattutto, Mike Miller.

Miller è ormai un veterano. Scelto dagli Orlando Magic con la 5° scelta assoluta nel draft del 2000, si impose subito all’attenzione degli addetti ai lavori, vincendo il premio di matricola dell’anno. Dopo i primi due anni e mezzo trascorsi ad Orlando, con tanto di duplice eliminazione al primo turno dei play-off, venne ceduto ai Memphis Grizzlies.

Qui arrivarono altre tre partecipazioni ai play-off (2004-2005-2006) ed altrettante eliminazioni, sempre al primo turno, più il premio di miglior sesto uomo nel 2006. Abbandonata Memphis nel 2008, ha speso gli ultimi due anni a Washington e Minneapolis.

Quest’estate però, all’età di 30 anni è arrivata per lui la grande occasione. Dopo aver fatto parte di team poco competitivi, arriva in una squadra che punta dichiaratamente al titolo, da subito, con la prospettiva di instaurare una vera e propria dinastia negli anni a venire.

Ciò che gli Heat chiedono a Miller è di mettere in campo tutta la sua esperienza, la sua versatilità e le sue grandi doti offensive, in particolar modo il tiro da 3 che è la sua specialità (40% in carriera).

Può giocare indifferentemente da guardia o da ala piccola, e molto probabilmente partirà dalla panchina per poi entrare a partita in corso. Parliamo di un elemento affidabile insomma, che sa fare bene tante cose, e può tornare utile in diverse occasioni.

Riley ha puntato con decisione su di lui: ora sta a coach Spoelstra inserirlo al meglio nella squadra.

Tiago Splitter

Dopo il titolo vinto nel 2007, gli Spurs non sono più riusciti a tornare in finale. Le cause delle ultime tre stagioni, non all’altezza delle aspettative, sono da ricercare in diversi fattori.

L’abbandono di elementi-cardine come Bowen, Horry ed Oberto, gli infortuni di Ginobili, il difficile inserimento di Jefferson in un sistema che non favorisce il suo modo di giocare, sono tutti elementi che hanno avuto un peso nel calo dei risultati.

Nonostante tutto, i ragazzi guidati da coach Popovich si presentano ai nastri di partenza con una squadra assolutamente competitiva, in pratica la stessa dell’anno scorso più un’aggiunta importante sotto canestro: Tiago Splitter.

Scelto proprio dagli Spurs con la 28° scelta nel draft del 2007, questo centro brasiliano è diventato uno dei più vincenti giocatori, in Europa e non solo. Il suo palmarès, ad appena 25 anni, è impressionante: in Spagna ha vinto, con la maglia del Caja Laboral, 2 Campionati, 3 Coppe di Spagna e 3 Supercoppe, venendo nominato MVP del Campionato nel 2010, MVP delle finali sempre nel 2010, e due volte MVP nelle Supercoppe del 2007 e del 2008.

In Eurolega ha partecipato a ben 4 Final Four di seguito (2005-2006-2007-2008), ma non ha mai vinto questo trofeo.

A livello di nazionale, inoltre, è un titolare inamovibile e ha condotto i suoi compagni alla conquista dei campionati panamericani nel 2003 e dei campionati americani nel 2005 e nel 2009. Insomma, un vincente che sa farsi sentire nei momenti più importanti.

Forte sia in attacco che in difesa, ha dei movimenti sopraffini in post basso ed una ottima abilità a rimbalzo. E’ dotato anche di grande tecnica per essere un lungo, anche se non è molto bravo nei tiri liberi.

Insomma, gli Spurs sembrano aver trovato il complemento ideale per Tim Duncan. Non è un caso che la dirigenza abbia insistito, fin dal 2007, per avere a propria disposizione il brasiliano, ma le due parti non sono mai riuscite ad accordarsi.

Il Caja Laboral, infatti, ha resistito quanto più possibile negli ultimi 3 anni per trattenere Splitter, mantenendo una squadra competitiva e fissando un elevato buy-out. Allo stesso giocatore non dispiaceva l’idea di rimanere in Europa, e visti i successi conseguiti non si può dire nulla sulla sua scelta.

Cosa succederà, adesso che è approdato in NBA? Le potenzialità per diventare una stella ci sono tutte. Di lunghi completi come lui ce ne sono pochi in giro per il mondo, e se dovesse fallire in questa sua esperienza americana sarebbe una grande sorpresa.

Hedo Turkoglu

Da qualche mese, in quel di Phoenix, i tifosi dei Suns si stanno ponendo una domanda: qual’è il vero Turkoglu? Quello che condusse, a suon di tiri sulla sirena e di giocate formidabili, gli Orlando Magic alle Finali del 2009? Oppure quello spaesato, poco incisivo e dallo scarso rendimento visto l’anno scorso a Toronto?

Dalla risposta che darà il giocatore sul campo, dipenderanno le fortune dei Suns in questa stagione. La sensazione è che la verità, come spesso avviene, stia nel mezzo: il turco non è un campione come ha fatto vedere nel 2009, ma non è nemmeno il bidone visto nel 2010.

E’ semplicemente un ottimo giocatore, con i suoi pregi e i suoi difetti. Sa gestire il pallone come pochi altri, e avere un passatore come lui nel ruolo di ala piccola è un privilegio per qualsiasi franchigia. A ciò accompagna un ottimo tiro da 3 e una capacità di mantenere il sangue freddo quando si trova sotto pressione.

I dubbi principali, dal punto di vista tattico, riguardano la difesa. Spesso Turkoglu non ha il passo per fronteggiare i suoi pari-ruolo, nè ha doti fisiche sufficienti per marcare i lunghi avversari. Inoltre, è un giocatore incostante, e più volte nel corso degli ultimi anni ha alternato periodi buoni a periodi meno buoni.

Prendiamo, ad esempio, il 2009: il suo impatto in regular season fu modesto, dopodichè esplose nei play-off. A Toronto, invece, non ha lasciato il segno, e il dubbio che quei grandi play-off derivassero dal fatto di trovarsi nell’ultimo anno di contratto sono leciti.

Quanta voglia avrà il nuovo acquisto dei Suns, a 31 anni e con un contratto garantito fino a quando ne avrà 35 per 11 milioni di media a stagione, di rendere al massimo?

Saprà sfruttare ancora le sue doti per giocare in velocità, infilando i tiri che il sistema gli concederà, preoccupandosi allo stesso tempo di armare le mani dei tanti tiratori che gli giocano accanto come Nash, Dragic, Richardson, Frye e Dudley?

Phoenix gli chiede una mano per continuare a sognare, dopo le inaspettate Finali di Conference raggiunte nel 2010.

Joe Johnson

Dulcis in fundo, Joe Johnson degli Atlanta Hawks. Mai come in questo caso, la situazione di un giocatore deve essere inserita nel contesto della sua squadra di appartenenza.

Gli Hawks si presenteranno al via del prossimo campionato con un grande pregio ed un grande difetto: il pregio consiste nel fatto che il nucleo della squadra (quintetto + principali giocatori della panchina) è rimasto invariato.

Il difetto consiste nel fatto che…il nucleo della squadra è rimasto invariato. A prima vista quello che avete letto può apparire una contraddizione, ma in realtà non lo è. Vediamo perchè.

Gli Hawks hanno a propria disposizione molti giocatori di ottimo valore. Oltre al già citato Johnson, abbiamo veterani di tutto rispetto come Mike Bibby e Jamal Crawford, e alcuni giovani di grande impatto come Josh Smith, Al Horford e Marvin Williams.

Questa squadra, però, ha dimostrato negli ultimi anni una sinistra tendenza: accumula buoni risultati in regular season, ma si scioglie come neve al sole nei play-off.

Nel 2009 il record di regular season fu di 47 sconfitte e 35 vittorie, mentre nel 2010 le partite vinte salirono a 53, a fronte di 29 sconfitte.

Eppure, sia nel 2009 che nel 2010 i “Falchi” hanno faticato a passare il primo turno di play-off contro squadre inferiori (vincendo 4-3 rispettivamente contro Miami e Milwaukee), per poi essere spazzati via 4-0 dai Cavaliers e dai Magic.

I motivi di queste eliminazioni così nette sembrano essere due: disorganizzazione a livello tattico e mancanza di leadership. Per quanto riguarda la disorganizzazione tattica ci ha pensato la dirigenza, licenziando coach Mike Woodson e sostituendolo con l’esordiente Larry Drew.

Il problema della leadership, invece, va risolto dai giocatori, e in particolar modo dal giocatore più rappresentativo, che è appunto Joe Johnson.

Johnson, il quale in estate ha rifirmato con gli Hawks a cifre astronomiche (120 milioni complessivi per 6 anni), deve decidere cosa vuole fare. Se essere ricordato solo come un ottimo giocatore, diritto che ha acquisito già da diversi anni, o se è il caso di dimostrare di essere un leader, alla soglia delle 30 primavere, superando quello stato di “bello ma incompiuto” che accompagna lui e la sua squadra.

Certo, i compagni dovranno assecondarlo ed aiutarlo, ma è lo stesso Joe a dover fare il primo passo. Abbiamo assistito spesso a bruschi cali delle sue prestazioni nei play-off rispetto a quelle della regular season, e questo dato non depone certo a suo favore.

Arrivato ad Atlanta nel 2005, Joe ha vissuto tutte le tappe della ricostruzione della franchigia. Ha giocato con compagni molto più limitati di quelli attuali, ha perso tante partite, e sarebbe un peccato se si fermasse proprio ora che ci sono le condizioni per fare veramente bene.

I tifosi dei “Falchi” sperano in lui, e nelle sue capacità…ora sta al loro capitano non deluderli.

5 thoughts on “5 nomi, 5 storie dell'NBA 2010-2011

  1. Di Gallinari ci sarà modo di parlare, essendo italiano avrà sicuramente grande risalto nel corso della stagione. Lo avevo preso in considerazione, poi proprio per questo motivo gli ho preferito altri giocatori.

    Yi Jianlian è stato anche lui preso in considerazione, e alla fine scartato. Diciamo che, oltre ai 5 che ho messo, avevo pensato a Gallo, Yi, Blatche, Boozer e Ariza. Di Blatche ho parlato nella preview dei Wizards (che uscirà a breve), Boozer doveva rientrare tra i 5 ma si è fatto subito male, mentre Ariza aveva qualcosa di meno intrigante rispetto agli altri.

    Tutto qua!

      • Mmm…questa veste grafica nn mi garba molto…spero torni la vecchia al più presto…

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