allphi454“Pay heed, all who enter: beware of the phog”
(“A tutti coloro che entrano: fate attenzione a Phog”)

Se entrate alla Allen Fieldhouse, tempio pagano di oltre diciasettemila anime rosso-blu, dalla porta situata a sud, la prima cosa che noterete sulla parete situata di fronte a voi sara’ questa scritta, posizionata appena sopra i cinque gonfaloni. La citazione e’ presa da un film horror degli anni 80 in cui la nebbia – the fog in inglese – portava distruzione e morte in un intero paese della California del nord.

Grazie a Phog, il gioco di parole risultava abbastanza elementare.
Phog non e’ nient altro che Forrest Clare Allen, riconosciuto da tutti come il padre degli allenatori di pallacanestro. Avendo avuto in dote una mente che gli permetteva di allenare a livello collegiale nei tre principali sport americani, il fatto di aver appreso il gioco direttamente da chi lo aveva inventato, lo ha reso l’apostolo che meglio di tutti ha saputo diffondere il verbo.

Nel 1906, quando Phog era ancora un sophomore e dominava a basket a livello universitario a Kansas, arrivo’ una lettera sulla scrivania del direttore dell’area di Educazione Fisica firmata Baker University, attraverso la quale l’ateneo domandava la disponibilita’ dello studente a diventare il loro prossimo allenatore della squadra di basket. La conversazione che si ritiene sia avvenuta tra il direttore e Phog Allen e’ una delle pietre miliari di questo gioco.

Da questa derivano gli Adolph Rupp, i Dean Smith, i John Wooden… che questo gioco l’hanno cambiato per davvero.

L’ex professore divenuto direttore a Kansas fa allo studente nonche’ suo giocatore:
– “Ne ho una buona per te, Phog, ti fara’ ridere. A Baker ti vogliono come loro prossimo allenatore”
– “Cosa ci sarebbe di cosi divertente?”, risponde sorpreso di non aver riso il giovane Allen.
– “Il basket non si puo’ allenare, si gioca e basta” sentenzia con una certa fermezza il direttore.

E chiude definitivamente Phog, prima di trasferirsi a Baldwin City per allenare la squadra di Baker e cambiare per sempre la storia del basket: “Are you sure, dr. Naismith?”

SPRINGFIELD, MASSACHUSETTS, 1890

Non ne poteva piu’, ne aveva viste troppe. Lo sport, per come lo intendeva lui, non c’entrava nulla con quello a cui aveva appena partecipato.

Amos Alonzo Stagg – si quello Stagg, quello che poi sarebbe andato a lavorare a Chicago e che avrebbe suggerito al magnifico rettore di Kansas University il nome di un giovane professore – era al suo ultimo anno di college. A Yale, dove dominava all’interno della squadra di rugby.

L’ultima partita, appena terminata, l’avevano vinta contro Harvard per 6 a 0 ad Hampden Park, Springfield, nel Massachusetts, esattamente a meta’ strada tra Cambridge e il Connecticut.

Yale – Harvard era ed e’ tutt’ora una delle rivalita’ piu’ accese nella storia dello sport. In campo ce le si dava come se non ci fosse un domani.

Per Stagg, uno che sembrava fosse stato mandato da Dio per purificare il Mondo, lo sport doveva essere quello che qualche anno dopo Pierre de Coubertin defini’ come “una possibile fonte di miglioramento interiore”, mentre per gli altri ventuno in campo, l’importante, effettivamente, non era vincere ma riuscire a prendere lo scalpo dell’avversario.

Dopo aver giocato la sua ultima partita, all’uscita dal campo viene avvicinato da un certo dottor Gulick, direttore del reparto di educazione fisica dell’ universita’ della zona, la YMCA Training School. L’offerta che il dottore, personaggio chiave della nostra storia, propose a Stagg fu di mettere in pratica quello che professava riguardo allo sport, allenando la squadra di rugby dell’ateneo.

Nello stesso periodo, alla Training School di Springfield era arrivato anche James Naismith, il quale, dopo essersi laureato ed aver completato la facolta’ di teologia alla McGill, si era iscritto al corso per diventare professori di educazione fisica tenuto dallo stesso Gulick poiche’, secondo Naismith, il modo migliore per educare i giovani, suo fine ultimo, era attraverso l’attivita’ sportiva.

In pochi mesi, il rugby a Springfield esplose. Gli undici di coach Stagg, tra i quali risultava nel ruolo di centro anche Naismith, uno dei pochi con una pregressa conoscenza del gioco, divennero delle celebrita’ nel loro piccolo college e un enorme contropiede per tutti gli altri atenei della zona.

Al termine della loro prima stagione, furono invitati al Madison Square Garden per una gara di esibizione – prima partita di rugby giocata al chiuso – contro Yale, quelli che dominavano negli scontri sotto forma d’incontri con Harvard. Un massacro annunciato, che pero’ non si rivelo’ tale.

La partita, in parita’ fino alla fine, si decise con un calcio di Yale all’ultimo secondo. La vittoria, come pronosticato ando’ a Yale, la gloria pero’ era tutta per i “stubby christians” di Springfield.

Da quel momento tutto all’interno dell’ateneo girava intorno al rugby e niente avrebbe potuto spodestarlo da quel piedistallo su cui era stato messo da Stagg, Naismith e compagni.

Niente, eccetto due cose. Il clima del New England e la mente di un creativo messa sotto pressione.

Il cielo del Massachusetts, bizzoso gia’ di suo, alla fine del Novembre 1891 ritenne che una bella mano di bianco su quei prati sarebbe stata proprio l’ideale e la fa venir giu’ senza pieta’. I ragazzi abituati a giocare fuori in qualsiasi condizione, sono costretti alla palestra.

Il lato oscuro dell’entusiasmo derivante dal rugby e’ che oramai non si puo’ piu’ star senza. Per cui, se il meteo non permette la partita al campo, si porta il campo in palestra: il risultato e’ un disastro, Harvard – Yale, sospesa in quel periodo per due anni perche’ ritenuta troppo violenta, al confronto era un ruba-bandiera tra amici. Le conseguenze della Royal Rumble, di cui sopra, furono l’allontanamento del professore di educazione fisica dell’epoca.

Si cerco’ un sostituto che venne individuato nel professor Clark, il miglior ginnasta di tutto l’ateneo, il quale dopo neanche una settimana rinuncio’ all’incarico. Naismith, presente durante il colloquio attraverso cui Clark annuncio’ a Gulick la sua decisione, commento’ sottolineando che non si doveva solamente occupare il tempo dei ragazzi, ma l’obiettivo era trovare qualcosa che li potesse far appassionare realmente. In una frase, il motivo per cui aveva deciso di diventare professore.

Gulick ascolto’ il commento, annui’ e fece uscire i suoi interlocutori dal suo ufficio. Aveva gia’ capito tutto.

La mattina seguente ando’ nell’aula in cui Naismith stava tenendo lezione e gli dichiaro’, tra una promozione e una minaccia, che la classe di educazione fisica era divenuta sua ma che avrebbe avuto quattordici giorni di tempo per trovare un passatempo per questi ragazzi. Per spodestare il rugby, il meteo c’era, la mente del creativo sotto pressione, da quel momento, anche.

9001909-large427 caratteri. La segretaria, la signora Lyons, si mise a scriverli piu’ in fretta che poteva.

Il professor Naismith, arrivato nel suo ufficio di corsa, le aveva consegnato un foglio su cui c’era scritto un elenco diviso in 13 punti da ricopiare a macchina immediatamente poiche’ entro mezz’ora la sua lezione sarebbe iniziata e ne aveva assolutamente bisogno.

Era il 21 dicembre, l’ultimo giorno prima delle vacanze natalizie ma soprattutto l’ultimo dei quattordici giorni che il direttore Gulick gli aveva messo a disposizione per trovare qualcosa con cui impegnare i ragazzi.

Naismith le aveva provate tutte. Per la disperazione era in qualche modo andato anche contro i suoi stessi principi, avendo provato a riadattare degli sport da esterno all’interno della palestra pur sapendo che sarebbero stati pericolosi per i ragazzi ma ignorando il quanto. Il verdetto finale: tanto, tantissimo.

Il giorno prima, avendo terminato le idee, durante l’ora di lezione lascio’ liberi i ragazzi e li osservo’. Finita l’ora, mentre i ragazzi si stavano cambiando, approfittando della contiguita’ tra il suo ufficio e gli spogliatoi, li ascolto’. Cercava dettagli, elementi, informazioni, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo.

Qualche ora dopo torno’ a casa deluso per quello che appariva un inevitabile fallimento.
Appariva.

Nonostante non lo sapesse ancora, aveva gia’ trovato tutto quello che gli serviva per cambiare la sua e, di fatto, anche la nostra storia.

La notte stessa, come Paul McCartney, che qualche decennio dopo nel sonno immagino’ la melodia di quella che la mattina successiva sarebbe diventata Yesterday, a Naismith tornarono in mente i tempi di Ramsay Township e del college.

L’unica imposizione del Gulick riguardo al gioco era che non fossero presenti i contatti violenti. La risposta di Naismith a questo ordine fu duplice: la parabola ad U rovesciata del Bennie’s Corner, l’unico modo per arrivare ad inserire una palla in un oggetto posto ad un’altezza tale da non poter essere protetto dagli avversari (Wilt, Lewis, Hakeem e Shaq… non li aveva immaginati neanche lui) e la pursuit rule, imparata ai tempi di McGill dai racconti tramandati da chi era andato a giocare contro Harvard, dalla quale venne preso il concetto per cui non si puo’ correre con la palla in mano, ma per muoversi bisognava palleggiarla sul pavimento. Un’illuminazione.

Da questi due concetti principali, vengono fuori le tredici regole che la mattina seguente la segretaria riporto’ attraverso i 427 caratteri. Sarebbero dovuti essere tredici in piu’ ma a causa della fretta provocatale dal professore, miss Lyons si era dimenticata di specificare dove fosse necessario lanciare la palla. La correzione a penna eseguita da Naismith dopo essersi accorto dell’errore e’ ancora visibile sulle regole originali.

Mentre la Lyons a velocita’ Mach 2 ricopiava il foglio del professore, questo ultimo richiamava a gran voce il bidello: “Stebbins! Stebbins! Corra a prendere due secchi e vada ad appenderli alla pareti della palestra. Si muova, per piacere”.

1-naismith-1891Stebbins, che dalle urla di Naismith si rese conto di avere a disposizione ancora meno tempo della segretaria, la prima cosa che trovo’ furono due cesti di pesche, e sperando che andassero bene, corse per attaccarli a dieci piedi d’altezza – il massimo permesso dal soffitto della palestra – uno di fronte all’altro.

L’ultima incertezza riguardava il come iniziare una partita: far scegliere alle squadre i due giocatori che si sarebbero contesi la palla saltando in mezzo al campo gli parve l’idea migliore.

Con la sicurezza di chi sa di aver posto le ultime pennellate ad un’opera meravigliosa, appese il regolamento consegnatoli dalla Lyons, passo’ a controllare come Stebbins aveva posizionato i due cesti, aspetto’ che tutti i ragazzi, lette le tredici regole sulla bacheca nel corridoio, entrassero in palestra e dopo aver formato le squadre, chiese loro di individuare i due compagni che si sarebbero contesi la palla.

A mezzogiorno del 21 dicembre 1891, in mezzo al campo di una palestra a Springfield, Massachusetts, il professore James Naismith lancio’ in aria un pallone che si rivelo’ essere la prima palla a due della storia.

Si, decisamente un’opera meravigliosa.

Nel Aprile del 1936, qualche mese prima di festeggiare il suo 75esimo compleanno, attraverso una colletta organizzata da allenatori, giocatori ed appassionati del gioco, gli fu permesso di andare all’evento organizzato per l’ufficializzazione dell’ingresso della pallacanestro tra i giochi olimpici.

Il 7 agosto dello stesso anno, due giorni prima che Jesse Owens mostrasse la superiorita’ fisica della razza nera vincendo proprio sotto gli occhi di Hitler il suo quarto oro nella staffetta 4×100, Naismith venne invitato dal comitato olimpico ad assistere alla prima partita ed una volta giunto al palazzo, gli fu chiesto di riportare tutti indietro nel tempo inaugurando cosi la storia olimpica del basket.

Come nella palestra della Training School YMCA di Springfield, al Reichssportfeld di Berlino fu lui ad alzare la palla a due della prima partita olimpica.

Tre anni dopo aver ricevuto dalla Storia il suo ultimo grande riconoscimento, mori’ per un infarto nella sua casa a Lawrence, Kansas.

Al suo funerale si presentarono in tantissimi. Arrivo’ ovviamente Amos Alonzo Stagg, il suo grande amico della Training School, la persona che chiamo’ il signor Snow per consigliarli di contattare Naismith. E si presento’ anche coach Yost, l’imbattibile allenatore di football che a meta’ stagione si era lamentato della preghiera mattutina e che di fatto costrinse il rettore a cercare un suo sostituto.

E’ sepolto al Memorial Park Cemetery di Lawrence, a neanche 3 miglia da Naismith Drive, la via che conduce all’ingresso sud della Allen Fieldhouse, quello che dovreste percorrere qualora vogliate trovarvi di fronte alla scritta e ai gonfaloni, che al momento sono cinque.

Al momento, perche’ Andrew Wiggins, nato e cresciuto in Ontario, ha scelto di venire a Kansas per vincere il sesto titolo, quello da dedicare alla memoria e alla leggenda del dottore James A. Naismith.

Per quella notte e per tutto, thank you Doc.

From Ontario to Kansas.
The Road of Basketball
Gara Due

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