Ancora Houston, qualche anno dopo.
Ancora due prime scelte, che si sono succedute ad un anno di distanza (1998 e 1999).

Se le carriere di Horry e Cassell, sommate, superano i trent’anni, in questo caso il totale è esattamente di venti: gli undici di Cuttino Mobley ed i nove di Steve Francis.

Dobbiamo subito prendere posizione rispetto alle fonti: non riteniamo che Mobley sia mai stato un giocatore dei Knicks, né che Francis sia da considerarsi membro dei Kings o dei Grizzlies.

Diciamo questo poiché, sebbene siano state le ultime squadre a concedere loro un salario, né Mobley né Francis ne hanno mai indossato la casacca: si è trattato esclusivamente di ragioni di salary cap, in connessione con uno stato di salute proibitivo per entrambi.

In comune tra loro, oltre agli esordi ai Rockets, vi è il passaggio per le piazze di Orlando e New York; mentre poi Mobley ha davvero militato a Sacramento, per Francis vale quanto detto poco sopra.

Gli Orlando Magic furono, per Francis e Mobley, il vero e proprio “crocevia”, alla stregua dei Phoenix Suns per Horry e Cassell: in un caso (Francis) rappresentano una consistente fetta di carriera, nell’altro (Mobley) un’avventura brevissime, prima di trasferirsi altrove.

Curiosa, anche in questo caso, la cessione in coppia, entro una trade che invertiva alcuni valori tra Eastern e Western: Mobley, Francis e Kelvin Cato (al tempo non l’ultimo dei brocchi sotto le plance) avrebbero tentato di risollevarsi ad Est, mentre a Houston sarebbe approdato essenzialmente Tracy McGrady, seguìto da Juwan Howard, Tyronne Lue e Reece Gaines, citati rigorosamente in ordine di prestigio.

Ciò che ha contraddistinto il binomio Mobley-Francis è stato anzitutto il forte legame d’amicizia, sfociato in un’intesa cestistica che ha prodotto una delle coppie più prolifiche della NBA del 2000: sono ciò che è seguito ad Olajuwon-Drexler, e che ha preceduto Ming-McGrady.

Vi è anche il comune denominatore di una carriera breve, dovuta all’impossibilità di far fronte a seri problemi: cardiopatici per Cuttino, al ginocchio per Francis.

Nonostante questo, Basketballreference ci porta ad un’altra considerazione, una riflessione di tipo “generazionale”. Siamo nell’ambito degli esorbitanti stipendi degli atleti: il patrimonio racimolato da mostri sacri quali Horry e Cassell è stimato tra i 50 ed i 60 milioni di dollari (53 Horry, e 58 Cassell); quello di Mobley è stimato attorno ai 67, mentre Steve Francis è arrivato addirittura a superare i 103, anche perché salariato, nell’ultimo anno, da Kings e Grizzlies.

Il dato più eclatante è però un altro: in due, a carriere comparate, abbiamo un totale di 31 partite di Play-Off.

Cuttino “The Cat” Mobley

Guardia tiratrice di 1.93, da Rhode Island, fu la chiamata 41 al Draft 1998. Approdò nella NBA a ventitre anni, facendo già parte della storia del suo college, lo stesso che avrebbe sfornato Lamar Odom poco dopo, e per il quale militava quando venne premiato come MVP della Atlantic 10 Conference.

Con un simile biglietto di presentazione, non stupisce l’immediata inclusione nel secondo quintetto di rookies per il 1998-’99. Nella stagione del lockout, Cuttino fece intravedere quelle doti di tiratore (dal campo ed ai liberi) che erano già note dall’università, inserendosi nel gruppo dei titolari. Ebbe 9.9 ppg, statistica che era attesa ad impennarsi quanto prima, con un recupero a partita, mentre rimbalzi ed assist erano sullo stesso livello, 2.5 di media a partita.

Non solo: la matricola Mobley avrebbe verosimilmente preso parte al rookie challenge, ma non avvenne, per lui e per tutti gli altri papabili, sempre a causa del lockout. Dovette accontentarsi di arrivare ai Play-Off grazie ad un record estremamente positivo, ma lo scoglio dei Lakers al primo turno permise ai Rockets di vincere appena la gara della bandiera, ed il 3-1 con cui si chiuse la serie vide un Mobley a 7 punti di media, nella speranza di poter migliorare la prestazione negli anni a venire.

Da sophomore, Mobley potè rappresentare la sua annata contro i rookies di Francis all’All Star Weekend, ma la post-season non venne raggiunta, nonostante la combinazione di questa temibile coppia di “piccoli”. Eppure, le cifre di Cuttino erano in crescita: 15.8 ppg partendo sostanzialmente da sesto uomo, nonché incrementi alle voci assist, rimbalzi, recuperi, sempre assistito da ottime percentuali al tiro.

Se dovessimo sottilizzare, potremmo insistere sui progressi del ragazzo, in costante ascesa in tutte le prime quattro stagioni: da 15.8 crebbe fino a 19.5, con un ruolo a metà tra il titolare e la riserva-chiave, per poi tornare definitivamente tra i partenti in quintetto, e sfornare un’annata da 21.7 ppg.

Al tempo Houston dipendeva da Mobley, che con i suoi 42 minuti e spiccioli ogni notte, era il secondo di tutta la Lega per tempo trascorso sul parquet.

Inoltre alla terza stagione (2000-’01) arrivò a ben 5 rimbalzi di media, suo record-carriera, così come lo sono gli 1.5 recuperi a gara, nell’anno in cui frantumò il ventello.

Dei Play-Off, invece, neanche l’ombra, senza che potesse ripetere l’esperienza avuta da rookie. A volte la colpa fu di tutto il team: nel 2000, ancora con Barkley ed Hakeem, ci fu un 34-48; nel 2002, con i soliti noti Cato, Moochie Norris e Walt Williams, un tremendo 28-54 (anche Glen Rice e Kevin Willis ci misero la faccia…).

Eppure, tra queste due annate nere, dovremmo pur scagionare Mobley, Francis, e Rudy T. almeno per il 2001, in quanto autori di un significativo 45-37, che non valse però più di un quinto posto nella Midwest. A tal proposito occorrerà ricordare che si trattava di una Western il cui livello di competitività estrometteva, come ancora oggi succede, squadre sopra il 50% da griglie già combattutissime. Il roster era più o meno un mix tra quello dell’anno prima e quello dell’anno seguente.

Il 2002-’03 fu, per Mobley, il ritorno sulla terra. Pur giocando ancora più di 40 minuti, i punti scesero a 17.5, poiché oltre alla presenza di Francis, non secondaria nella suddivisione dei tiri, i Rockets erano riusciti ad accaparrarsi Yao Ming. In effetti, Tomjanovich chiuse ancora in positivo (43-39), tanto per cambiare senza accedere i Play-Off.

Forse ci voleva Jeff Van Gundy, forse ci voleva un innesto di veterani da far rabbrividire chiunque (Jimmy Jackson, Clarence Weatherspoon, Charles Oakley, Mark Jackson): di fatto, con questa squadra ed un record di 45-37, si giunse alla tanto sospirata post-season. Mobley pagò in una certa misura l’abbondanza del roster e la qualità dei nomi, scendendo a 15.8 ppg.

Esito scontato: 4-1 per i Lakers al primo turno, maledizione incontro alla quale Mobley andò per la seconda volta in carriera, riuscendo almeno a segnare 14.4 ppg, catturando 4.8 rimbalzi e servendo 2.8 assist. Al tiro, di contro, deluse.

Ciò spinse i dirigenti a cercare altri leaders per Van Gundy, sacrificando Mobley e Francis. Ma per Mobley fu davvero un passaggio a vuoto, e nel gennaio 2005 ebbe modo di far parte dei più forti Kings di sempre, di una squadra da 50 vittorie stagionali, ma capace di perdere contro i Sonics per 4-1 al primo turno. I numeri di Mobley, sempre più giocatore in regresso, sembravano non poter più incrementarsi, e mentre in regular aveva prodotto qualcosa che oscillava tra i 16 ed i 17, nella serie persa giocò a fasi alterne, ottenendo 14.8 ppg.

E 14.8 è lo score che Mobley mantenne nel suo primo anno ai Clippers, ultima franchigia della carriera, di cui varrà la pena menzionare solo quel 2005-’06, quando, capitanati da Cassell, si arresero ai Suns alle semifinali di Conference. La carriera di Mobley ai Play-Off si concludeva con 10 vittorie e 16 sconfitte.

Rimase a Los Angeles per altri tre anni: 13.8 e 12.8 tra 2007 e 2008. Nel 2008-’09, pur inserito in uno scambio che lo conduceva ai Knicks, giocò le ultime partite della vita in maglia Clippers a 13.7 ppg. Si sarebbe ritirato di lì a poco, senza mai giocare per New York, che pure pagò il suo ingaggio, a conferma della proverbiale “maestria” della squadra nel mettersi in situazioni contrattuali del genere (Allan Houston vi dice niente?).

A trentatre anni e due mesi, nel novembre 2008, chiudeva con una vittoria contro Oklahoma City, segnando 23 punti.

Steve “The Franchise” Francis

A metà tra point e shooting guard, il fenomenale prodotto di Maryland approdava ai Rockets nel 1999, come seconda scelta assoluta del Draft di quell’anno. Era un pick dei Grizzlies, allora a Vancouver, non volevano affatto rinunciarvi.

Poi il giocatore puntò i piedi, e “motivi di distanza” fecero sì che i Grizzlies se ne privassero, raggruppando nel roster un’accozzaglia di mediocri e future prime scelte. Evidente, a tutti, il fatto che la destinazione fosse quantomeno “sgradita”.

Da quel discutibile episodio all’etichetta di Stevie “Franchise”, poiché subito eletto uomo-franchigia per invocazione dei tifosi texani, il passo è estremamente breve.

Gli onori che Francis ebbe fin dall’inizio, lasciavano presagire una sua lunga permanenza nel circuito NBA, con il compito (ma, più che altro, la possibilità) di scrivere la storia della Lega.

Questi termini così enfatici ci derivano essenzialmente dal fatto che egli fu, non solo per un dato statistico, uno degli appartenenti al circolo della Tripla Doppia. Sia in partita, sia di media.

Certo, ben distanti dagli standard di un Oscar Robertson o di un Magic Johnson, Francis andava a rimpolpare una élite che comprendeva, tra gli altri, Grant Hill, Jason Kidd e Tracy McGrady – James sarebbe arrivato solo cinque anni più tardi.

Le cifre parrebbero darci ragione: 18.1 ppg, 6 apg e 5.6 rpg. Il punto è che queste sono dilazionate in 576 incontri di regular, più o meno corrispondenti a sette stagioni piene, mentre Steve ha collezionato queste presenze in appena nove stagioni, delle quali possiamo considerare fallimentari le ultime tre, e sontuose le prime sei.

Il vero problema, in definitiva, è una salute altalenante; questo non fa che accrescere il rammarico in quanti videro, in questo spettacolare saltatore di 191 cm, un puro fuoriclasse. Tra la sfortuna ed il demerito ci sbilanciamo, propendendo con decisione per la prima.

Vediamo, allora, come si è andata sviluppando la parabola di Francis.
Da rookie fu, ex-aequo, MVP assieme ad Elton Brand, uno che ancora serve egregiamente la NBA. Presenziò al Rookie Challenge del 2000 battendo i Sopohomores di Cuttino Mobley, e nell’ambito dello stesso Week-End arrivò secondo alla gara delle schiacciate, preceduto da Carter e davanti all’altro “cugino”. Nei 77 incontri che disputò ebbe 18 punti di media, 6.6 assist e 5.3 rimbalzi; recuperò 1.5 palloni a sera, con buone cifre al tiro.

Alla seconda stagione, le cose andarono in modo analogo, con l’ottimo 45-37 di cui sopra. Fu il bis del Rookie Challenge, e Francis terminò a 19.9 ppg, 6.5 assist e addirittura 6.9 rimbalzi, vera anima di Houston. Quanto alla difesa, i recuperi salirono a 1.8. Il binomio Francis-Mobley era ormai da considerarsi una realtà.

Ci faranno riflettere le tre stagioni tra 2001-’02 e 2003-’04. Nel triennio, la spettacolarità di Francis venne premiata da tre All-Star Game consecutivi. Ma, a dimostrazione di quanto la partita delle stelle non sia sinonimo di vittorie, i Rockets raggiunsero la post-season solo nel 2004.

Il 2002 fu magro per il team, che “grazie” al record di 28-54 poté comunque assicurarsi una buona scelta. Yao Ming, per la cronaca. Francis, in irresistibile ascesa, giocò però appena 57 partite a 21.6 ppg, 6.4 apg e 7 rimbalzi. Il 2003, ultimo della gestione Tomjanovich, non portò ai Play-Off, e Steve si confermò in fase realizzativa, calando un po’ nei rimbalzi.

Il dato paradossale è che, nella sola stagione in cui i Rockets finirono tra le prima otto dell’Ovest, Francis abbia collezionato statistiche decisamente al di sotto. Vero è che ci fu molto di Jeff Van Gundy in quel rendimento tanto limitato. E’ anche vero che, se volessimo parlare di giocatore “decisivo”, non potremmo farlo con disinvoltura. Senz’altro le impressionanti prestazioni di Steve in quella serie contro i Lakers meritano una menzione: 19.2 ppg, 7.6 apg e 8.4 rpg.

Tuttavia bisognerà anche considerare un dato che abbiamo fin’ora trascurato Principale difetto tecnico del Nostro, furono, evidentemente, le palle perse. Sintomo di inaffidabilità se non di individualismo, Francis arrivò più volte al podio di quella speciale classifica, finendo addirittura primo nel 2003. Troppo, anche se confrontato con i palloni recuperati.

Quindi Orlando. Mobley partì quasi subito, mentre Francis resistette per un anno e mezzo. Da sostituto di T-mac ebbe 21.3 ppg, 7 assist (il career high) e 5.8 rpg. Niente Play-Off.

Allo stesso modo, nel 2004-’05, tra Magic e Knicks, Francis non prese parte al culmine della stagione, ormai ritenuto giocatore in vistoso calo.

Di demerito non aveva e non ha senso parlare. Ma di macchie, in carriera, ne troviamo non solo in occasione del Draft 1999. Anche nel fatto di aver guadagnato più di 35 milioni (più di un terzo del salario totale) nei suoi anni di fine attività, e di vera e propria inattività. Ci perdonino gli esperti di salary cap se non siamo in grado di riassumere chiaramente quanto accaduto tra Houston, Memphis e Blazers, tra clausole ed opzioni contrattuali. Ci pare solo non proprio dignitoso, per quanto rientri perfettamente nella norma delle dinamiche NBA.

Epilogo

Francis e Mobley, altri incompiuti di lusso, hanno avuto un destino analogo a quello di ogni trascinatore di Houston dalla fine dell’era-Olajuwon.

In definitiva, è grande il rammarico nel ripercorrere carriere tanto avvincenti, quanto effimere.

4 thoughts on “History: il duo Mobley-Francis

  1. Non capisco il senso di questo articolo, e sopratutto il legame con il pezzo che riguardava Horry e Cassell.
    I primi due sono giocatori “meteora” per un motivo o per un’altro, hanno lasciato poche tracce del loro passaggio anche se gli era stata profetizzata una carriera da protagonisti (almeno per quanto riguarda Francis), perchè fare un’articolo su di loro? Quanti altri giocatori promettenti sono spariti dal radar o non ci sono mai arrivati? Se aprissi un vecchio American Super Basket ne troverei a centinaia.
    I secondi sono dei veterani della palla a spicchi con alle spalle una carriera da mestieranti, da lavoratori, da operai, puntellata da momenti di gloria significativi e da attimi di grande basket.
    Queste due storie sono forse state messe l’una di fianco all’altra per il gusto del contrasto?

  2. Jimi….Sara’ stato scritto perche’ son stati due giocatori di basket e non due comuni pescivendoli o rivenditori di auto usate?..Tra l’altro non sono stati nemmeno gli ultimi degli stronzi in mezzo ad un miliardo di atleti transitati nei secoli in nba..

    • Nascevano come articoli congiunti per un’idea di “Vite Parallele”…tutti nati cestisticamente nella Houston degli anni ’90…

      Poi, è ovvio, chi oserebbe mettere sullo stesso (identico) piano Mobley-Francis e Horry-Cassell?

      E’ il gusto di ricordare, è storia della recente NBA.

  3. Dimenticavo: il contrasto non esiste per gusto personale, ma esiste già di suo per voci statistiche e stipendi…

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