Anche per chi avesse iniziato a seguire la NBA solo da pochi mesi, una delle prime cose che si impara a notare e riconoscere è il talento dei giocatori: atleti come Lebron James, Stephen Curry, Anthony Davis hanno movenze inconfondibili, riuscendo a far sembrare facili cose impossibili non solo per i comuni mortali ma anche per i loro colleghi.

Molto più difficile, anche per gli addetti ai lavori, è riuscire a giudicare il talento di un General Manager, il dirigente responsabile dell’organizzazione della franchigia in generale e dei movimenti di mercato in particolare.

Il successo che ottengono nel loro lavoro dipende da una molteplicità di fattori: abilità nel valutare il talento al draft, capacità di organizzare scambi con altre franchigie, lungimiranza nelle trattative coi giocatori, conoscenza delle infinite regole del contratto collettivo e, naturalmente, una buona dose di fortuna.

In una Lega altamente competitiva come la NBA, anche la concorrenza fra GM è molto serrata: ma se c’è un dirigente per il quale non dovrebbe essere difficile riconoscerne l’immenso talento, quello è Sam Presti.

Arrivato negli allora Seattle SuperSonics nel 2007, nei suoi primi 3 anni con la franchigia ha scelto al draft nell’ordine: Durant alla 2 nel 2007, Westbrook alla 4 nel 2008 e Harden alla 3 nel 2009. 3 MVP in 3 anni.

Ma non è tutto: ha scelto Ibaka alla 24 sempre nel 2008, Bledsoe alla 18 nel 2009, Jackson alla 24 nel 2011, Adams alla 12 nel 2013.

In poche parole, un genio.

Come sono andate le cose ad Oklahoma City in questi anni, già lo sapete: invece di diventare la madre di tutte le dinastie, i Thunder hanno portato a casa zero anelli, una sola finale persa contro gli Heat di Lebron, cocenti delusioni in sequenza dopo il tragico errore della cessione di Harden nel 2012 per motivi sostanzialmente economici e l’addio di Kevin Durant nell’estate 2016, dopo essere arrivati ad un passo dal tornare in finale.

Anche per Presti, dunque, pareva valere lo stesso destino dei giocatori da lui scelti: nonostante il talento, gli mancava sempre qualcosa per arrivare all’anello. Una squadra di un piccolo mercato come Oklahoma City aveva avuto per le mani 3 futuri MVP ma non era stata in grado di tenerli insieme e sfruttarli al meglio, ed ora aveva perso un treno che non sarebbe mai tornato.

Ma il buon Sam non si è perso d’animo, ed in un paio d’anni è riuscito a trasformare Ibaka in Oladipo, e l’anno successivo Oladipo in Paul George. In affitto, si diceva, in attesa di andare ai Lakers. Ed invece, questa estate, l’affitto stagionale si è trasformato in un contratto pluriennale (4 anni per 137 milioni complessivi): evidentemente, lavorare bene paga, se un giocatore come George ha preferito la profonda provincia americana ad Hollywood.

Rimaneva il dilemma Carmelo Anthony, giocatore sul viale del tramonto e proprio per questo indisponibile a rinunciare all’ultimo anno del suo sontuoso contratto da 27 milioni. L’unica soluzione per Oklahoma pareva una complessa operazione contabile col taglio del giocatore e lo “spalmaggio” del suo contratto su più anni… ma è a questo punto che Presti si è superato, trovando non solo una destinazione al giocatore ma ottenendone addirittura in cambio un playmaker di talento e gambe razzenti come Dennis Schröder.

Il suo arrivo non solo ha risolto il problema economico dato dal contratto di Melo, ma aggiunge una preziosa risorsa ad un roster che, col ritorno importantissimo di Roberson, si candida già fin d’ora per essere il nuovo anti-death-lineup.

Un ipotetico quintetto con Schroeder, Westbrook, George, Roberson e Adams (oppure Patterson, oppure Noel) difensivamente si può permettere di giocare la difesa con switches automatici e sistematici provata da Houston negli ultimi playoffs, forse anche meglio dei Rockets stessi.

Certo la fase offensiva sarà tutta da inventare, ma Oklahoma City è di nuovo nella mappa delle contender e Sam Presti ha rimesso in carreggiata una situazione che sembrava ormai compromessa, dimostrando ancora una volta che, dai giocatori fino ai dirigenti, la classe non è acqua.

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