Sono la squadra del momento.
Mentre scrivo hanno il 90% di vittorie in stagione e sono in striscia positiva da 15.

Sono diventati ormai anche una delle squadre più trasmesse in tv, sia negli States che qui in Italia. Tutti vogliono vedere all’opera gli Splash-Brothers, con l’immaginifico Curry e il glaciale Thompson, insieme ai 2 giovani sensazione Barnes e Green e al rinato Speights.

Tutto sta girando bene per i Guerrieri di Oakland, che al momento sembrano avere il talento, la gioventù, l’entusiasmo ma anche l’allenatore, la panchina lunga e gli accorgimenti tattici che servono per fare strada nei playoffs.

Ma sono veramente una squadra perfetta, senza difetti né punti deboli? Ovviamente no.

Le palle perse

Fino allo scorso anno, il nemico numero 1 in casa Warriors erano i turnovers. O per lo meno, l’impressione era quella: perchè andando a vedere le statistiche “per 100 possessi” della passata stagione, i gialloblu erano sedicesimi su 30, quindi diciamo “a centro classifica”, non un risultato terribile.

In realtà, un conto sono le cifre, un conto è la percezione guardando le partite: perchè le palle perse non solo si contano, si pesano anche… Un conto è perdere qualche pallone nei primi quarti e con la partita in equilibrio, un conto è perderle spesso e volentieri nell’ultimo periodo quando le difese salgono di colpi e magari si mettono a pressare. Ecco, appunto…

L’attacco contro le difese pressing

Non è inusuale, per chi segue Golden State da qualche anno, aver assistito a partite dominate per lunghi tratti, anche con ampio margine, e poi perse a causa della rimonta finale degli avversari che, sotto di molti punti a pochi minuti dalla fine, provano l’arma disperata della difesa pressing.

Il fatto è che Curry, uno dei migliori ball handler del pianeta quando si tratta di entrare nelle aree avversarie a fare danni e creare gioco, diventa un giocatore normale, quasi svogliato, quando si trova a dover portar palla contro una difesa aggressiva che raddoppia a tutto campo nel tentativo di recuperare palloni.

Sarà un eccesso di sicurezza, sarà il suo stile che lo porta sempre a giocate al limite, fatto sta che Steph non è così infallibile quando si tratta di amministrare un vantaggio e congelare la palla nelle proprie mani per far passare un po’ di tempo nel finale di partita.

Inoltre, da quando 2 anni fa è partito Jarrett Jack, a roster non c’è un playmakerino tascabile che lo possa supportare in queste situazioni: quest’anno addirittura la point guard di riserva è Shaun Livingston, super talento di oltre 2 metri che ha tanti pregi ma che non fa della rapidità con la palla in mano il suo punto di forza.

E questo ci porta ad un altro punto debole…

La difesa contro i playmaker

I Warriors in questo momento hanno, a detta di tutti e anche delle statistiche avanzate, la miglior difesa della Lega. Sono quindi proseguiti i miglioramenti già mostrati nella passata stagione sotto la gestione di Mark Jackson.

Molti stanno rendendo merito a Steve Kerr di aver motivato a difendere di più anche Stephen Curry, che da quest’anno non viene dirottato sistematicamente contro il peggior attaccante fra gli esterni avversari ma che regolarmente si interessa dell’altrui playmaker anche quando questo si chiama Parker o Paul.

Non stiamo però parlando di un Tony Allen col tiro da 3: quest’anno effettivamente il figlio di Dell è più coinvolto e convinto di difendere, ma continua da avere la tendenza a girare in ritardo attorno ai blocchi e ad accompagnare le penetrazioni senza però riuscire ad arrestarle da solo. La difesa dei Warriors spesso riesce a cambiare in difesa senza pagare dazio sfruttando 3 esterni intercambiabili come Thompson, Barnes e Green, ma uno specialista nel marcare i playmaker a roster non c’è, e questo si potrebbe pagare contro squadre come Spurs e Clippers.

L’esecuzione in attacco

Questa effettivamente è difficile da spiegare se avete visto bene i Warriors solo in questa stagione: al momento il loro attacco è splendido, con Curry a creare, Thompson come braccio armato, Bogut come passatore dal post alto e le 2 ali a prendersi tiri comodi coi metri di spazio creati dagli altri.

E’ un attacco molto semplice ma efficace, che esalta le caratteristiche di ciascuno e sfruttando le individualità riesce anche ad essere imprevedibile. Curry in genere crea i parziali improvvisando dal palleggio, ma non disdegna di tanto in tanto di lavorare da guardia pura con Livingston o Iguodala in punta per uscire dai blocchi e prendersi un tiro ad alta percentuale.

Il fatto è che tutto questo riesce più facile in regular season: nelle lunghe serie di playoffs le difese hanno il tempo di adeguarsi per rendere le zingarate di Curry sempre più rischiose e il gioco in transizione sempre più raro. Nei playoffs il gioco rallenta e favorisce inevitabilmente squadre come San Antonio e Memphis che appoggiano la palla dentro ed eseguono i giochi come orologi.

La vera grande sfida che attende Kerr e i suoi ragazzi è proprio questa: riuscire a non snaturare il proprio gioco ed i propri punti di forza anche nei playoffs, mettendo in conto però un gioco inevitabilmente più fisico e la necessità di inventare di meno e di eseguire meglio gli schemi sotto pressione.

E’ una sfida che i tifosi Warriors attendono da decenni, da quando le squadre champagne di Don Nelson facevano onde in stagione regolare per venire regolarmente bastonate in post season. Ma Kerr, che ha giocato ed imparato con 2 mostri sacri come Jackson e Popovich, sembra avere le idee chiare ed i tifosi della Oracle Arena cominciano a sognare in grande…

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.